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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-09-16 ad oggi 2010-09-24 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)

2010-09-22 BANCHE Unicredit, il Cda sfiducia Profumo

l'ad firma la lettera di dimissioni

Prima la voce secondo cui l'ad aveva lascia con una lettera ai consiglieri per evitare di spaccare il consiglio. Poi nuovi rumors: "Ha consultato i legali ed ha deciso di andare avanti". Infine di fronte alla volontà del consiglio il manager lascia. Le deleghe al presidente Rampl

Unicredit, il Cda sfiducia Profumo l'ad firma la lettera di dimissioni Alessandro Profumo

ST

DG

Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

41° Anniversario - SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE

MILANO - Un duro scontro fra i soci e la decisione di sfiduciare l'amministratore delegato Alessandro Profumo. Si conclude così la lunga giornata di Unicredit. Una giornata segnata da un giallo sulle dimissioni del manager e da una resa dei conti fra i consiglieri di amministrazione schierati con l'amministratore delegato accusato di aver aperto le porte della banca ai libici e chi ha voluto cogliere l'occasione per liberarsi di un personaggio, come ha detto lo stesso ad, "scomodo". Il consiglio ha votato all'unanimità, col solo voto contrario della consigliera indipendente Reichlin, di dare mandato al presidente Dieter Rampl di offrire ad Alessandro Profumo la risoluzione consensuale del rapporto a precise condizioni con le dimissioni contestuali. Se non le accetterà il Cda ha già deliberato la revoca delle deleghe attribuendole al presidente e risolvendo il rapporto con l'ad. A fronte di questa situazione Profumo, poco prima di mezzanotte, ha ceduto al volere del Cda firmando la lettere di dimissioni. Sembra che all'ormai ex amministratore delegato andranno 40 milioni di buonuscita.

Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto,

pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio.

Per conoscer le mie idee Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF

Il mio commento sull'argomento di Oggi è :

…………………………………………………………..

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-09-20 ad oggi 2010-09-24

AVVENIRE

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2010-09-23

23 settembre 2010

LA PARTITA DEL CREDITO

Senza Profumo Unicredit

affonda in Borsa: -4%

La questione libica? Solo un pretesto. Sembra questa la chiave di lettura che emerge il giorno dopo la resa dei conti in Unicredit. A provocare il terremoto che ha scalzato dalla poltrona di Ad Alessandro Profumo e affondato il titolo in Borsa (-4% a 1,823 euro), sarebbe stato solo apparentemente la presunta "scalata" dei soci libici. L’aumento delle quote degli ultimi mesi della Banca centrale della Libia (4,98%) e del fondo Lia (2,59%) ha rappresentato solo la congiuntura favorevole per voltare pagina. Il vero motivo della "cacciata" di Profumo sarebbe invece il "Bancone", la fusione per incorporazione in Unicredit di tutti gli istituti del gruppo, per rendere la banca più moderna ed efficiente. Una rivoluzione su cui Profumo si è scommesso fino in fondo, minacciando anche le dimissioni mesi fa. Il progetto è passato a fatica e l’Ad ha tenuto. Ma la resa dei conti era evidentemente solo rimandata.

"Il bancone – ci rivela un’autorevole fonte – non è stata digerita dalle Fondazioni e da molti azionisti. E il presidente Dieter Rampl avrebbe tessuto la tela". Nelle ultime settimane infatti il banchiere tedesco – che ha ricevuto martedì le deleghe operative dal Cda per assicurare funzionalità all’istituto e individuare quanto prima un successore – avrebbe raccolto gli umori di alcuni soci, da Allianz a Mediobanca, passando ovviamente per le Fondazioni, soprattutto Cariverona e Crt che più di tutte avevano sollevato il caso. Motivazioni generali. Ma anche personali per Rampl, che con Profumo non ha mai avuto un grande feeling, non avendogli forse mai perdonato di aver "conquistato" Hvb. Vecchi rancori e un progetto troppo "moderno" per una banca cresciuta in maniera enorme unendo i territori, senza però riuscire a liberarsi dalle logiche territoriali.

La risposta a queste indiscrezioni e retroscena la darà il tempo. Forse basteranno le prossime settimane a schiarire quello che martedì sembrava un incomprensibile giallo: lo "zar" assediato, costretto a lasciare dopo 13 anni. Con un perché "esterno" troppo debole. I libici si sono chiamati subito fuori.

L’ambasciatore libico in Italia, Hafed Gaddur, lo ha detto senza peli sulla lingua: "Non siamo stati noi la causa dei conflitti interni ai grandi azionisti. La nostra presenza negli assetti societari della banca è stata solo un pretesto". Un "pretesto", la stessa parola usata dal finanziere tunisino Tarak Ben Ammar. Resta sul campo così il disagio sul "bancone", che dovrebbe scattare operativamente il 1° novembre. Sarà così? Il deputy Ceo più vicino a Profumo, Roberto Nicastro ("È stato un maestro per me"), assicura: "Il progetto di banca unica prosegue con la massima velocità e accelerazione perché un progetto altamente strategico". Lo ha confermato anche il presidente Dieter Rampl, ieri sera, in una lettera in inglese inviata ai dipendenti: "La squadra di vertice è unita più che mai e determinata a portare avanti tutte le iniziative in corso, incluse priorità come One4C", ovvero il bancone. E sull’uscita di Profumo: "La decisione di far rassegnare le dimissioni a Profumo non è stata di una persona ma del board. È stata il risultato di differenti vedute riguardo alla governance".

A Profumo è andato il grazie del Cda per aver "trasformato da banca puramente domestica in uno dei principale gruppi europei" e una liquidazione di 38 milioni (oltre a due che andranno in beneficenza e a 1,5 per un patto di non concorrenza che lo "blocca" per un anno da altri incarichi). Al banchiere la solidarietà e la stima dei colleghi, ieri tutti a Milano per l’esecutivo dell’Abi.

Ma se Profumo esce di scena e si concede una passeggiata per il centro, a Milano, senza rilasciare dichiarazioni, la macchina di Unicredit non può permettersi di fermarsi: continua il confronto sugli esuberi; confermato il comitato strategico, oggi pomeriggio, così come il comitato remunerazioni e quello nomine, in vista del Cda del 30 settembre già in agenda da tempo a Varsavia. Per quella data Rampl è difficile che possa presentarsi con il successore. Il nome non c’è ancora. "Stiamo cercando il candidato giusto in banca e fuori", ha detto Rampl. La spallata a Profumo è arrivata infatti senza una alternativa. Anche questo strano per un colosso come Unicredit. Ma se martedì è stata trovata una "soluzione istituzionale" – come l’ha definita il presidente della Fondazione Banco di Sicilia, Giovanni Puglisi – per il futuro serve una scelta forte che riesca a tenere il confronto con Profumo, l’Arrogance per due volte "banchiere europeo dell’anno". Voltare pagina non sarà facile.

Giuseppe Matarazzo

 

 

23 settembre 2010

Unicredit, l’incertezza e il rischio

Nessuna nostalgia Ma si archivi la guerra delle Signorie

In un Paese normale non si lascerebbe il primo gruppo bancario privo del proprio amministratore delegato per un periodo che potrebbe superare i tre mesi, con il rischio concreto che questa <+corsivo>vacatio<+tondo> apra ulteriormente le porte al capitale straniero. In un Paese normale si sarebbe provveduto a designare immediatamente un successore del timoniere congedato. E probabilmente si sarebbe provveduto a un’operazione così delicata come quella che coinvolge Unicredit – terza banca europea, diecimila filiali in ventidue Paesi del mondo – con modalità meno traumatiche di quelle che hanno visto l’uscita di scena (generosamente remunerata) di Alessandro Profumo.

Ma le anomalie italiane non si esauriscono nello psicodramma di Piazza Cordusio. Pensiamo ai segnali che la defenestrazione dell’ad di Unicredit – per la quale non abbiamo motivo di biasimo né di compiacimento – fornisce ai mercati: quella di un’Italia che perde la bussola di una delle sue eccellenze e, segnatamente, dell’istituto di credito più internazionale d’Europa. Per di più il nostro è un Paese che, in questo delicatissimo frangente, non è in condizione di "schierare" né il presidente della Consob né il ministro per lo Sviluppo economico: segnali decisamente non confortanti per chi guarda con motivata apprensione alla proiezione d’immagine e alla tenuta del sistema economico e finanziario nazionale.

Non bastasse, dietro il brusco congedo di Profumo s’individua facilmente una tesa partita politica. Non è infatti la quota in possesso della Libia o degli Emirati il motivo del licenziamento dell’amministratore delegato, bensì una guerra che qualcuno ha appropriatamente definito <+corsivo>per banche<+tondo>, a indicare quel mosaico di fondazioni e di piccoli soci che compongono l’ossatura di Unicredit. Piccoli e grandi elettori che a Profumo hanno dedicato applausi e lodi e perdonato scivolate d’ala e gesti "politici" fino a quando il manager garantiva comunque cospicui dividendi, ma che hanno alzato sopracciglio e voce nel momento in cui le scelte – e magari anche gli errori, le omissioni, le impennate – dell’amministratore hanno eroso i loro particolari utili e bilanci.

Il risultato è una guerra che ricorda da vicino le esasperate rivalità fra Signorie nell’Italia dei secoli di mezzo, e la concreta prospettiva che si finisca per spalancare – come accadde a Ludovico il Moro con Carlo VIII – le porte a un sovrano straniero. Proprio la sgargiante ostilità reciproca delle tante tessere del mosaico Unicredit, finisce per far risaltare la tutta politica entrata in scena di coloro che stanno dietro ai piccoli e grandi feudi "federati" nella prima banca italiana. Ci sono – o s’intravedono – tutti o quasi, dal Pdl al Pd. E in particolare c’è la Lega Nord. Che non lascia i suoi tradizionali stendardi, ma alza più di tutte la bandiera dell’"italianità" dell’istituto, in principio sventolando il pericolo della crescita delle quote libiche e da ultimo – quando a Profumo è stato formalmente fatto pagare il prezzo di aver favorito l’apertura agli uomini (e ai soldi) di Tripoli – concentrando allarme ed esternazioni sul "rischio" del bastone del comando in mano ai soci tedeschi. Non si può, poi, non notare la inconsueta e corposa frizione pubblica (e a difficoltà minimizzata) tra il giustamente allarmato e impegnato superministro dell’Economia Giulio Tremonti e gli uomini di Umberto Bossi. Nonché quelle, appena dissimulate, tra big leghisti.

Vi è in tutto ciò un sapore di antico e di già veduto: quasi da Prima Repubblica. C’è, però, anche una debolezza nuova della politica, che una crisi di tal fatta in un orizzonte d’incertezze non avrebbe dovuto permettere e permettersi. Il tempo dei "garanti" e dei grandi "manovratori" è un ricordo già lontano e ancora oggi, per diversi e seri motivi, non gradito a tutti. Ma qualche sospiro nostalgico s’ode lo stesso. Noi, che non abbiamo di queste nostalgie, vorremmo solo augurarci la fine della guerra delle Signorie. E statisti sereni e vigili.

Giorgio Ferrari

 

 

 

23 settembre 2010

SCENARI

La Lega cambia fronte: ora difendiamoci dai tedeschi

Nessuno ha voglia di passare per il mandante politico della cacciata di Alessandro Profumo. La vicenda è stata gestita troppo male per essere difesa. "Lo hanno mandato via come si farebbe con il presidente della bocciofila. Non c’è un sostituto, non c’è una strategia. È stata una cosa da dilettanti" commenta, con Avvenire, Guido Crosetto, del Pdl, che per anni ha tenuto i legami del centrodestra con il mondo delle banche. No, nessuno festeggia pubblicamente per un simile allontanamento di un manager "che ha fatto un lavoro importante", come dice una "dispiaciuta" Emma Marcegaglia, numero uno degli industriali.

Considerato che quasi tutti gli indici sono puntati contro la Lega – come è ovvio, data la sua vicinanza alle Fondazioni che hanno sfiduciato l’amministratore delegato di Unicredit – il Carroccio fa di tutto per ridimensionare l’importanza del suo ruolo in questa partita. "Noi non c’entriamo" assicura Giancarlo Giorgetti, il presidente leghista della Commissione Bilancio della Camera, la sfiducia a Profumo "è stata una scelta aziendale, nella quale nulla ha influito la Lega" ribadisce Maurizio Fugatti, capogruppo leghista in Commissione Finanze.

Chi però ha assistito all’arrivo di Giulio Tremonti in Transatlantico, ieri mattina, parla di un ministro dell’Economia tutt’altro che allegro. Nelle ricostruzioni dell’agitata serata del lunedì di Unicredit il ministro è indicato come quello che ha voluto difendere Profumo dall’attacco della Lega, ma senza successo. Si parla di un rapporto incrinato tra Tremonti e il Carroccio. Ma "sono cose fantasiose" chiarisce Umberto Bossi. "Eravamo a cena insieme, ieri. A litigare..." scherza poco dopo lo stesso Tremonti. Tra i due il rapporto è "fraterno" e "al massimo il ministro ce l’ha con qualche leghista "minore" che ha voluto fare un’inutile prova di forza" spiegano dagli ambienti del Pdl. Retroscena (ufficialmente) smontato. Sbiadisce anche l’immagine di una Lega soddisfatta. Perché al Carroccio non piacciono i fondi libici, ma nemmeno i banchieri tedeschi.

"Avevo paura che la Germania potesse mettere le mani sulla banca – racconta Bossi – ma poi ho visto che non hanno i numeri". Ha voglia di parlare, il leader leghista. Si lamenta degli amministratori di Unicredit, che non hanno trovato un sostituto prima di allontanare Profumo, e spera in un "minimo di azioni intelligente da parte delle Fondazioni" con Giuseppe Guzzetti – presidente dell’Acri e della Fondazione Cariplo – che dovrebbe "riorganizzare la difesa" dall’assalto di Dieter Rampl e degli altri bavaresi.

Un’altra versione dei fatti accusa il premier Silvio Berlusconi di avere organizzato il licenziamento di Profumo per liberare la strada verso la fusione Mediobanca-Generali a Cesare Geronzi, il presidente della compagnia triestina. Lo ha scritto Repubblica e da Palazzo Chigi una nota ufficiale definisce "assolutamente fantomatica" questa storia.

Se qualcuno ha motivi per festeggiare la "decapitazione" di Piazza Cordusio lo sta nascondendo molto bene. "C’è malumore, nel Pdl e nel governo, perché questo è solo un problema in più. Se poi sono stati gli uomini di Bossi, beh, non hanno fatto altre che fare confusione" insistono fonti della maggioranza. Scontente anche di vedere un Pd che può andare all’attacco con facilità su tutta questa storia. "La confusione della Lega su Unicredit è totale e fa danni, innanzitutto ai territori che vorrebbe difendere – ha commentato ieri il responsabile economico Stefano Fassina –. Tosi si vanta di aver buttato giù Profumo, in realtà ha assecondato un’operazione di altri".

Pietro Saccò

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-09-22

22 settembre 2010

ECONOMIA E FINANZA

Unicredit scivola in Borsa

Il titolo cede il 4%

Avvicinandosi alla chiusura in Piazza Affari si rafforza la corrente di vendite su Unicredit: il titolo cede il 4% a 1,823 euro. Di poco sopra la norma gli scambi: al momento sono passate di mano 615 milioni di azioni, contro una media quotidiana dell'ultimo mese di Borsa di 509 milioni di "pezzi".

Il giorno dopo l'uscita di scena di Alessandro Profumo, la vicenda Unicredit investe ora la politica. A schierarsi contro il "rischio Germania" dopo le polemiche sui libici, è partito lancia in resta il leader del Carroccio Umberto Bossi che dopo aver smentito le voci su una lite con Tremonti ("Sono cose fantasiose"), sottolinea: "Avevo paura che la Germania potesse mettere le mani sulla banca, ma poi ho visto che non hanno i numeri".

Il leader leghista disapprova le dimissioni "al buio" di Alessandro Profumo ("Bisognava prima trovare un sostituto"), e guarda a Giuseppe Guzzetti, presidente Acri e Fondazione Cariplo, come cavaliere bianco che "riorganizzi la difesa". "Se c'è un minimo di azione intelligente da parte delle Fondazioni i tedeschi non ce la possono fare".

Un occhio anche alle "banche territoriali" che "faranno una difesa adeguata". A smentire la lite lo stesso Tremonti, che scherza con i giornalisti sullo stesso argomento: "Eravamo a cena insieme ieri a litigare...".

In difesa di Profumo si schiera il sindaco di Roma Gianni Alemanno: "Mi dispiace molto e oggi gli farò una telefonata perchè indubbiamente Profumo ha rappresentato uno modo di fare banca significativo, attento al sociale e alle diverse necessità dell'economia nazionale".

Rassicurazioni sul futuro dell'istituto che ha affidato le deleghe di Ad e l'incarico per la ricerca di un sostituto al presidente Rampl, arrivano dal vice Ad Roberto Nicastro: "La Banca unica - ha detto - prosegue con la massima velocità e accelerazione, è un progetto altamente strategico per il gruppo".

I banchieri intanto tessono le lodi del manager "sfiduciato" e allontanato con una buona uscita di 38 milioni. "Personalmente mi spiace molto, umanamente, per Alessandro e per il nostro settore che perde un grandissimo professionista", commenta l'ad di Intesa Sanpaolo Corrado Passera.

Il sistema bancario italiano ha perso "un validissimo rappresentante" gli fa eco Giuseppe Mussari, presidente dell'Abi, associazione che riunisce gli istituti di credito nazionale e che ha aperto a Milano la riunione del comitato esecutivo dell'associazione tributando a Profumo un lungo applauso.

Anche Luca di Montezemolo rende omaggio ad Alessandro Profumo: "Posso solo ripetere - ha detto il presidente della Ferrari a margine di un convegno a Reggio Emilia - che ha fatto un lavoro straordinario che ha portato Unicredit a essere una delle banche più importanti d'Europa, vicina alle imprese e che ha reso un servizio importante all'immagine dell'Italia".

Lo stesso presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, esprime la sua "grande stima" nei confronti di Alessandro Profumo, ma preferisce non entrare nel merito delle decisioni prese dal Consiglio di amministrazione di Unicredit perchè "ritengo che la politica - dice - debba arrestarsi sulla soglia delle decisioni che autonomamente sono state prese dal Cda".

Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, poi, si è detta dispiaciuta per le dimissioni e auspica che si scelga in tempi brevi una persona "all'altezza".

Dietro le dimissioni di Alessandro Profumo c'è stata invece una "resa dei conti interna" e la presenza degli investitori libici negli assetti societari è stata usata come "pretesto", per l'ambasciatore di Tripoli a Roma, Hafed Gaddur.

 

 

 

 

22 settembre 2010

ECONOMIA E FINANZA

E la partita in banca spacca anche la politica

"Se ti trovi dalla sera alla mattina qualcuno in casa e nessuno ti ha avvisato...". Flavio Tosi, con tutta la forza di Cariverona, aspetta tre secondi prima di affondare il colpo. "... Beh, è più o meno quello che è successo in Unicredit". Quel paragone spiega. Fa capire. Alessandro Profumo paragonato a un custode infedele? Tosi insiste: "Far entrare Gheddafi ed i libici vuol dire far entrare dei soci che potrebbero non fare gli interessi di Verona e del Veneto... Ora Bankitalia e Consob fermino la scalata libica". Quell’affondo non passa inosservato. Bruno Tabacci, uno dei parlamentari più informati sulle manovre bancarie, non ci sta. Non accetta la sfida della Lega e alza la voce. "È un’operazione di una volgarità senza precedenti. È il sistema dei furbastri padani". Furbastri? Tabacci annuisce: "Vogliono far credere che il problema sia Gheddafi, ma la verità è un’altra: gli uomini della Lega pretendono che i soldi di Unicredit finiscano dove dicono loro".

Le notizie si accavallano e nulla sembra chiaro. E, intanto, Filippo Penati, il capo della segreteria di Bersani, prova a spiegare la posizione del Pd: "Ci sono voluti vent’anni per sottrarre le banche alla politica... Ora con la Lega ritorniamo al passato con gli interessi dei partiti che corrompono e inquinano tutto".

È una partita complicata. Scivolosa. Berlusconi però questa volta la guarda con assoluta attenzione. Consapevole che appena si aprirà un confronto vero sulla successione non farà l’errore che ha fatto negli anni passati. Non delegherà. Non lascerà ad altri la trattativa. Oggi – ripetono sottovoce ai piani alti di Palazzo Grazioli – il premier ha capito che cosa volesse dire D’Alema quando sottolineava l’importanza di poter contare su una banca amica. Oggi molti l’hanno sentito ripetere che un banchiere vale molto più di un ministro. E allora quando rimbalza fino a Palazzo Grazioli l’ipotesi che un prodiano di ferro come il supermanager Claudio Costamagna potrebbe prendere il posto di Profumo nessuno nasconde assoluta preoccupazione. Anche se dal fronte Lega è il presidente della Commissione Bilancio della Camera, Giancarlo Giorgetti, ad abbandonare la sua proverbiale riservatezza e a farsi sentire: "Non è la politica, né sono i partiti che decidono la rimozione di un amministratore o le nuove nomine". Già, ma gli attacchi "targati" Carroccio? Giorgetti non si scompone e spiega: "È corretto che la politica parli sulle scelte strategiche. È giusto fare credito alle Pmi o fare entrare i capitali libici? Su questi temi la politica deve dire la sua".

C’è una partita che si gioca in superficie e una sotterranea. Quest’ultima appare piena di interrogativi? È vero che Tremonti ha provato fino all’ultimo a difendere Profumo e che invece Berlusconi e Letta hanno sferrato l’attacco finale anche per limitare il raggio d’azione del ministro dell’Economia? Ed è vero che sulla vicenda Unicredit l’asse Tremonti-Lega non ha funzionato come sempre? Si aspetta di capire e, intanto, nel centrosinistra qualcuno arriva a ipotizzare per Profumo un futuro in politica. Di Pietro è però gelido: "È bene che ognuno faccia il proprio mestiere. Di ragionieri che hanno gestito il potere delle lobby il Paese ne può fare a meno". C’è scetticismo. Anche nel Pd. "Stimo Profumo, ma prendere come leader uno che è stato appena cacciato, è un’idea ben singolare di politica", avverte Fioroni che come tanti ricorda che il candidato c’è e si chiama Bersani. Sul versante Pdl Guido Crosetto, per anni responsabile dei rapporti con il mondo bancario, guarda attento. "Più che un futuro in politica per Profumo vorrei un presente da banchiere. Ognuno deve fare le cose che sa fare... Certo una cosa va detta: Profumo è bravo e sfiduciarlo all’improvviso senza nemmeno avere in mente che cosa possa avvenire dopo di lui mi sembra un atto di pura incoscienza". Parole dure che precedono l’ultimo messaggio: "Quello che sta succedendo in Unicredit è surreale. Parliamo della prima banca italiana, della terza europea. Il governo dovrà capire che cosa è successo. E dovrà chiedere chiarimenti". Ma forse il governo conosce già bene i contorni della partita.

Arturo Celletti

 

 

 

 

21 settembre 2010

ASSETTI BANCARI

Unicredit, Profumo si dimette

È scontro nel Cda

La crisi e la scomparsa dei forti utili e dividendi cui aveva abituato il mercato e i soci hanno fatto deflagare le tensioni esistenti da anni nell'azionariato contro l'ad di Unicredit Alessandro Profumo e che il manager aveva sempre sopito con una gestione brillante che gli concedeva così ampi margini di manovra.

La redditività resta la principale sfida del suo successore e lo stesso Profumo di recente ha detto che il gruppo deve realizzare almeno 6 miliardi di utile l'anno per ripagare i soci. Il gruppo bancario, nonostante abbia evitato la nazionalizzazione e le maxi perdite delle rivali britanniche e tedesche, ha infatti visto l'utile scendere dai quasi 6 miliardi del 2007 a quota 4 del 2008 dimezzandosi a 1,7 nel 2009 e calando del 39% nel secondo semestre dell'anno.

Una parabola discendente che ha portato il dividendo, "linfa vitale" per le fondazioni azioniste che finanziano così ospedali, università e opere sociali, a ridursi a un terzo nel 2008 per di più assegnato quasi esclusivamente sotto forma di azioni che intanto perdevano valore. Se la media delle quotazioni nel 2007 era infatti a 6,5 nel 2007, nel 2008 era precipitato a 1,9 con un minimo di 0,634 euro.

Effetti della crisi finanziaria, certo, ma anche alcune operazioni che, con il senno di poi, si sono rivelate troppo onerose o sbagliate nella tempistica. La tedesca Hvb infatti, se ha permesso a Unicredit il grande balzo come gruppo internazionale, si è infatti rilevata gonfia di strumenti finanziari speculativi che hanno generato notevoli perdite sul conto economico mentre altre svalutazioni sono arrivate dalla controllata in Kazakhistan e Ucraina, operazioni fortemente volute dall'ad e che avevano generato perplessità sui prezzi pagati.

La debolezza dei conti economici e l'erosione del patrimonio ha indotto così il gruppo, nonostante le iniziali smentite, a varare l'aumento di capitale lampo nell'ottobre 2008 per i grandi soci, operazione che lo stesso Profumo ammise che avrebbe dovuto varare "all'inizio dell'anno", ma che segnò l'ingresso dei libici con poco più del 4%.

L'impegno delle fondazioni (tranne Cariverona che si smarcò all'ultimo) che sottoscrissero sacrificando risorse finanziarie sempre più limitate, riaccese i contrasti fra azionariato italiano e management con i soci nazionali che chiesero maggior peso, attenzione al territorio e una maggiore collegialità. Le fondazioni misero di nuovo mano al portafoglio nel settembre 2009 con l'aumento da 4 miliardi ma a quel punto le frizioni iniziarono a farsi più frequenti e palesi anche sotto il continuo pressing della Lega che reclamava più spazio negli enti dopo aver vinto le tornate elettorali.

Il piano della Banca Unica, prima rimandato e poi approvato con qualche distinguo, la vicenda As Roma e l'appoggio alla candidatura di Roma alle Olimpiadi invece che Venezia sono tutte altre fonti di contrasto cui si sono aggiunti il rafforzamento di Abu Dhabi (auspicato da Profumo) e dei libici per il quale l'ad si è sempre difeso dicendo di non averlo sollecitato.

Nodi che Profumo non ha potuto sciogliere ricorrendo al suo argomento più forte di manager indipendente e fuori dalle logiche di potere: i risultati brillanti conseguiti in bilancio. E nodi che ora restano sul tavolo del suo successore il quale dovrà coniugare l'attenzione al territorio, una governance condivisa con i grandi soci, un piano di esuberi e risultati da grande banca internazionale.

 

 

 

21 settembre 2010

IOR

Nota della Segreteria di Stato: perplessi e meravigliati, massima fiducia nei vertici

"È nota la chiara volontà, più volte manifestata da parte delle autorità della Santa Sede, di piena trasparenza per quanto riguarda le operazioni finanziarie dell’Istituto per le Opere di Religione (Ior). Ciò richiede che siano messe in atto tutte le procedure finalizzate a prevenire terrorismo e riciclaggio di capitali. Per questo le autorità dello Ior da tempo si stanno adoperando nei necessari contatti e incontri, sia con la Banca d’Italia sia con gli organismi internazionali competenti – Organisation for Economic Co-operation and Development (Oecd) e Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale contro il riciclaggio di capitali (Gafi) – per l’inserimento della Santa Sede nella cosiddetta White List.

La Santa Sede manifesta perciò perplessità e meraviglia per l’iniziativa della Procura di Roma, tenendo conto che i dati informativi necessari sono già disponibili presso l’ufficio competente della Banca d’Italia, e operazioni analoghe hanno luogo correntemente con altri istituti di credito italiani.

Quanto poi agli importi citati si fa presente che si tratta di operazioni di giroconto per tesoreria presso istituti di credito non italiani il cui destinatario è il medesimo Ior.

La Santa Sede tiene perciò a esprimere la massima fiducia nel presidente e nel direttore generale dello Ior".

 

 

 

21 settembre 2010

L'AZIONE DEI PM ROMANI NEI CONFRONTI DELLO IOR

Drammatizzazione offensiva e inspiegabile

Procedure e cautele studiate per combattere riciclaggio di denaro e movimenti di risorse destinate ad armare il terrorismo sono state attivate ieri dalla magistratura romana nei confronti dei vertici dell’Istituto per le Opere di Religione (Ior), con l’iscrizione nel registro degli indagati dei vertici della "banca" vaticana e con il sequestro di 23 milioni di euro. Un evento mozzafiato, che ha suscitato legittima perplessità e motivate preoccupazioni.

In primo luogo, per il manifesto, stridente e inconciliabile contrasto tra ciò che la Chiesa cattolica e le sue istituzioni sono e fanno e le realtà (e le immagini) evocate da concetti come riciclaggio e terrorismo. Ma non secondariamente perché – come ha pacatamente e prontamente sottolineato la Segreteria di Stato della Santa Sede – tutto ciò è maturato sebbene i "dati informativi" sulle operazioni di tesoreria relative a quella somma complessiva fossero già stati messi a disposizione della Banca d’Italia. C’è, poi, di più. Sulla base dei limpidi intendimenti della Santa Sede, e secondo la linea condotta con rigore e passione proprio dal presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi, è infatti in pieno svolgimento l’attività per adeguare definitivamente l’Istituto vaticano a quegli standard che consentono agli Stati di essere inseriti nella famosa White List.

Ecco spiegati l’incredulità e lo sconcerto per quanto accaduto ieri. Ecco spiegato il senso di "profonda umiliazione" provato, e sobriamente manifestato, dal presidente Gotti Tedeschi. Sono sentimenti che agitano e toccano – in queste ore, in singolare coincidenza con ben altri eventi – ogni osservatore sereno dei fatti. E che accompagnano, per quanto ci riguarda, un civile allarme e insistenti e gravi interrogativi sull’inspiegabile e offensiva drammatizzazione decisa da taluni magistrati romani.

mt

 

 

 

 

 

 

CORRIERE della SERA

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2010-09-24

Unicredit, Orcel incontra Palenzona

Il manager di Bofa tra i papabili per il dopo Profumo

Unicredit, Orcel incontra Palenzona

Il manager di Bofa tra i papabili per il dopo Profumo

Andrea Orcel, manager di Bank of America Merrill Lynch (Ansa)

Andrea Orcel, manager di Bank of America Merrill Lynch (Ansa)

MILANO - Continua il toto-ad per la successione ad Alessandro Profumo. Proprio per discutere della futura governance della Unicredit, il vice presidente di Unicredit, Fabrizio Palenzona, ha incontrato il presidente di Cariverona, Paolo Biasi e il manager di Bank of America Merrill Lynch Andrea Orcel. Quest'ultimo è uno dei nomi circolati per il posto di amministratore delegato di Unicredit. Palenzona è uscito poco prima delle 16 dalle sede di Piazza Cordusio e, dopo pochi minuti, è stato visto entrare in un palazzo nel centro di Milano dove ha la sede un noto studio legale. Qui hanno fatto il loro ingresso anche Biasi e Orcel. Dopo circa un'ora Palenzona ha fatto ritorno in Unicredit.

TOTONOMINE - Inizialmente molto gettonato, si tira fuori dai giochi l'ex Goldman Sachs Claudio Costamagna, che definisce infondate le voci sul suo conto: "Non ho mai avuto discussioni di questo tipo - ha detto intercettato nel pomeriggio nei pressi della sede di Unicredit - non è il mio lavoro, non lo è mai stato né mi interessa. In generale - ha aggiunto, pur precisando di non avere mai ricevuto richieste in questo senso - in un'azienda il presidente è qualcosa che saprei fare: l'amministratore delegato non solo non lo saprei fare, ma non mi interessa neanche". Insieme ai nomi di Orcel e Costamagna, sono circolati con particolare insistenza anche quelli dell'ex a.d. di Capitalia Matteo Arpe, di Giampiero Auletta Armenise, già a Ubi Banca, e del direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli. Non esclusa anche la possibilità di promuovere uno dei quattro vice di Profumo (Roberto Nicastro, Paolo Fiorentino, Bruno Ermotti e Federico Ghizzoni): ipotesi quest'ultima che permetterebbe una scelta in tempi rapidi, rimandando le nuove nomine a tempi più tranquilli. Il prossimo appuntamento ufficiale per i consiglieri di Unicredit resta quello del 30 settembre a Varsavia: il cda, che era convocato da tempo, dovrebbe tra le altre cose mettere a punto la risposta ai quesiti di Bankitalia, che aveva chiesto chiarimenti sulle ripercussioni che il nuovo assetto societario avrà sulla governance dell'istituto. I tempi si fanno stretti, viste le pressioni arrivate da Roma, ma non risulta esistere una short list e quindi sembra al momento difficile che possa essere il consiglio di fine mese la sede per procedere alla nuova nomina.

LA RIUNIONE - Il profilo della scelta da compiere nelle prossime ore è stato delineato in serata, in una riunione tra il presidente Dieter Rampl, i vicepresidenti Palenzona e Luigi Castelletti e Vincenzo Calandra Buonaura, insieme agli altri membri dei comitati hanno cominciato a tratteggiare il profilo del successore di Profumo. Nessun commento da parte di Castelletti che, interpellato all'uscita dalla sede di Unicredit, si è limitato a un "tutto tranquillo".

Redazione online

23 settembre 2010

 

 

 

 

2010-09-23

il presidente di unicredit: mere speculazioni le voci di una short list per il ruolo di ad"

Unicredit, Rampl e l'addio di Profumo "Idee diverse, la politica non c'entra"

Lettera del presidente ai dipendenti: la scelta "non è stata dettata da singolo azionista o dalla politica"

il presidente di unicredit: mere speculazioni le voci di una short list per il ruolo di ad"

Unicredit, Rampl e l'addio di Profumo "Idee diverse, la politica non c'entra"

Lettera del presidente ai dipendenti: la scelta "non è stata dettata da singolo azionista o dalla politica"

Dieter Rampl (Imagoeconomica)

Dieter Rampl (Imagoeconomica)

MILANO - Sono le prime parole dopo il divorzio tra Unicredit e il suo (ormai ex) amministratore delegato Alessandro Profumo.

LA LETTERA - La decisione di accettare le dimissioni di Alessandro Profumo da Ceo di Unicredit Group, "offerte" da lui stesso, "non è stata dettata da un singolo azionista o da influenze della politica. Invece, è stata il risultato di differenti prospettive riguardo la corporate governance". Lo scrive il presidente di Unicredit Dieter Rampl, in una lettera inviata oggi ai dipendenti del gruppo in cui spiega anche che "sono mere speculazioni le voci di una short list da cui verrà fuori il futuro amministratore delegato.

BANCA UNICA - La squadra di vertice di Unicredit, composta dal presidente, dai vice Ceo e dal Management Team, "è unita più che mai e determinata a portare avanti tutte le iniziative in corso, incluse priorità come One4C", (vale a dire il piano di riorganizzazione noto anche come Bancone o Banca Unica). "Sono totalmente convinto che troveremo nel futuro il nostro successo solo in un orientamento paneuropeo" aggiunge Rampl nella lettera.

Redazione online

22 settembre 2010(ultima modifica: 23 settembre 2010)

 

 

Il leader della Lega alla Camera

Bossi su Unicredit: "Ora le fondazioni

la difendano dai tedeschi"

"Profumo ha dato le dimissioni al buio, cosa che di solito non si fa. Doveva prima trovare il sostituto"

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(Ansa)

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ROMA - Il giorno dopo l'uscita di Alessandro Profumo interviene Bossi, che commenta alla Camera quanto sta avvenendo in Unicredit. Ed esprime il timore che la Germania si prenda "tutta la banca". Quindi, dice il leader della Lega, serve una "azione intelligente" delle Fondazioni che spero "non stiano con le mani in mano e organizzino una difesa". Il leader leghista guarda a Giuseppe Guzzetti, presidente Acri e Fondazione Cariplo, come cavaliere bianco che "riorganizzi la difesa".

"SBAGLIATE LE DIMISSIONI AL BUIO" - Bossi, in merito alle dimissioni di Alessandro Profumo, ha poi aggiunto: "Ha dato le dimissioni al buio, cosa che di solito non si fa. Doveva prima trovare il sostituto".

NESSUN LITIGIO CON TREMONTI - "Sono cose fantasiose" ha poi detto il leader della Lega Nord, rispondendo a chi gli ha chiesto di eventuali litigi con il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, a proposito delle dimissioni di Alessandro Profumo. Lasciando l'Aula, poco dopo, lo stesso Tremonti raggiunge Bossi e con un sorriso scherza e liquida la questione: "Litigi? Eravamo a cena insieme, ieri. A litigare".

 

22 settembre 2010

 

 

 

 

2010-09-22

Il leader della Lega alla Camera

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(Ansa)

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ROMA - Il giorno dopo l'uscita di Alessandro Profumo interviene Bossi, che commenta alla Camera quanto sta avvenendo in Unicredit. Ed esprime il timore che la Germania si prenda "tutta la banca". Quindi, dice il leader della Lega, serve una "azione intelligente" delle Fondazioni che spero "non stiano con le mani in mano e organizzino una difesa". Il leader leghista guarda a Giuseppe Guzzetti, presidente Acri e Fondazione Cariplo, come cavaliere bianco che "riorganizzi la difesa".

"SBAGLIATE LE DIMISSIONI AL BUIO" - Bossi, in merito alle dimissioni di Alessandro Profumo, ha poi aggiunto: "Ha dato le dimissioni al buio, cosa che di solito non si fa. Doveva prima trovare il sostituto".

NESSUN LITIGIO CON TREMONTI - "Sono cose fantasiose" ha poi detto il leader della Lega Nord, rispondendo a chi gli ha chiesto di eventuali litigi con il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, a proposito delle dimissioni di Alessandro Profumo. Lasciando l'Aula, poco dopo, lo stesso Tremonti raggiunge Bossi e con un sorriso scherza e liquida la questione: "Litigi? Eravamo a cena insieme, ieri. A litigare".

22 settembre 2010

 

 

 

 

Buonuscita da 40 milioni. La moglie: due andranno in beneficenza

Unicredit sfiducia Profumo

L'ad firma le dimissioni

Scontro nel Cda, poi il manager accoglie la richiesta. Deleghe a Rampl. La Lega: fermare i libici. Giù il titolo

Buonuscita da 40 milioni. La moglie: due andranno in beneficenza

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Scontro nel Cda, poi il manager accoglie la richiesta. Deleghe a Rampl. La Lega: fermare i libici. Giù il titolo

MILANO - Il dado è tratto. Alessandro Profumo non è più alla guida di Unicredit. L’amministratore delegato, dopo quindici anni nel gruppo, è stato alla fine sfiduciato dal board, al termine di una giornata snervante, fitta di notizie e smentite sulle sue dimissioni, circolate prima del Cda straordinario fissato nel tardo pomeriggio. "C'è stata una richiesta di dimissioni da parte del Consiglio di amministrazione di Unicredit, e mio marito si è dimesso firmando questa richiesta" ha detto a tarda serata la moglie del top manager, Sabina Ratti. Contrariamente alle previsioni della vigilia, si è dunque arrivati alla "conta". Secondo le indiscrezioni trapelate, durante la riunione durata quasi cinque ore, alcuni consiglieri avrebbero manifestato contrarietà all’uscita di Profumo dal gruppo, anche per motivi legati alla stabilità della banca. Alla fine però, hanno nettamente prevalso i favorevoli alla sfiducia. Il Cda ha attribuito ad interim le deleghe che erano di Profumo al presidente Dieter Rampl, la cui figura esce a questo punto a testa alta dal confronto-scontro con l’amministratore delegato sulla mancata comunicazione dell’incremento della presenza della compagine libica nell’azionariato. Del drappello di "difensori" dell’ad risulterebbero far parte Salvatore Ligresti e il vice presidente Farhat Bengdara, numero uno della Banca Centrale della Libia, che detiene il 4,988% di Unicredit.

BUONUSCITA - L'accordo sulla buonuscita di Profumo c'è, come ha spiegato la moglie lasciando, a tarda serata, lo studio legale Erede Bonelli Pappalardo. All'ormai ex ad di Unicredit, che percepiva uno stipendio di oltre 4 milioni di euro l'anno e che ha firmato la risoluzione consensuale con l'istituto di credito, andranno circa 40 milioni di euro. "Ci tengo a dirvi che una parte della buonuscita, due milioni di euro, sarà data in beneficenza a Don Colmegna". "Io e mio marito siamo serenissimi - ha aggiunto -, non è la fine del mondo, non c'è solo Unicredit, ci saranno altre opportunità".

IL PRIMO ACCORDO - La situazione di impasse venutasi a creare in Consiglio di amministrazione non era prevedibile, visto l'accordo di massima raggiunto in precedenza e che prevedeva l'addio dell'amministratore delegato. Profumo però ha voluto giocare le sue carte fino all'ultimo, cercando la fiducia del consiglio. Ha trovato solo il voto favorevole del consigliere indipendente, Lucrezia Reichlin. E a nulla è servito, nella fase degli incontri preventivi, l'intervento a suo sostegno di uno dei principali azionisti di Unicredit, Ligresti che si era detto "favorevole alla stabilità".

I MOTIVI - Alla base del redde rationem di Piazza Cordusio pare non ci sia solo la questione libica, ovvero il ruolo della Banca centrale libica - che detiene il 4,99 per cento - e quello del fondo Libyan Authority Investment (Lia), che ha ufficializzato alla Consob di essere salito al 2,594 per cento. Alcuni azionisti - in primis i "falchi" Luigi Maramotti e Fondazione Cariverona - sembra fossero critici da tempo sul ruolo dell'ad, nel mirino anche per il progetto "One4C", il cosiddetto "bancone". Sulla questione libica è intervenuto anche l'imprenditore franco-tunisino, e membro del patto di sindacato di Unicredit, Tarak Ben Ammar che ha detto di non credere che i soci di Tripoli siano irritati per la vicenda Profumo.

LA GIORNATA - La giornata, caratterizzata dalla flessione del titolo in Borsa e dai forti scambi azionari, si era aperta con i grandi azionisti che, in particolare tramite il presidente Dieter Rampl, avevano tenuto ferme le posizioni di aspra critica verso Profumo. E l'amministratore delegato aveva capito che i margini per un accordo in extremis risultavano pressoché inesistenti. Un peso decisivo ha avuto la reazione dei consiglieri di amministrazione tedeschi, infastiditi anche dal pressing della politica che nelle ultime ore si era fatto insistente nel tentativo di supportare Profumo.

GOVERNATORE BANCA CENTRALE LIBIA - Al Cda nella sede di Unicredit ha partecipato, per la prima volta (fino ad ora era apparso solo in videoconferenza), Farhat Omar Bengdara, Governatore della Banca centrale Libica, azionista con il 4,99 per cento dell'istituto.

TOSI: STOP ALLA LIBIA - "Quella su Profumo e sul suo successore è una scelta che spetta al cda e ai soci. Dopodiché, io auspico soprattutto che adesso gli organismi di controllo, Bankitalia, Consob, fermino la scalata libica a Unicredit" il sindaco di Verona, il leghista Flavio Tosi, commenta le dimissioni di Profumo. "In questa vicenda - ha ricordato Tosi - io sono intervenuto come sindaco che rappresenta un territorio nel quale questa banca, Unicredit, ha molti interessi. A prescindere dal ruolo di Profumo, io ho manifestato la preoccupazione riguardo alla possibilità che l'istituto, per il legame che ha con il nostro territorio, potesse passare sotto il controllo libico". Il Comune di Verona esprime diversi consiglieri in Cariverona, la cui Fondazione detiene il 4,98% di Unicredit.

Redazione online

21 settembre 2010(ultima modifica: 22 settembre 2010)

 

 

 

Un errore, grave

Un errore, grave

Non è il disaccordo sulla presenza dei libici che ha indotto le fondazioni italiane e gli azionisti tedeschi a sfiduciare Alessandro Profumo, peraltro senza scegliere subito un sostituto, come dovrebbe avvenire in una grande banca internazionale. Sarebbe infatti sciocco opporsi a un socio di minoranza che non esita a mettere mano al portafogli quando la banca ha bisogno di capitale fresco. La Libia è solo un pretesto.

Il vero scontro che oppone Profumo ai grandi azionisti della banca è la sua decisione di trasformare Unicredit da una somma di feudi locali (Monaco di Baviera, Verona, Torino, Modena, Treviso...) in una struttura unica, come lo sono le grandi banche internazionali, ad esempio Hsbc (Hong Kong and Shanghai Banking Corporation), la più estesa e la migliore banca al mondo. Una banca unica è più efficiente, ha costi inferiori ed è in grado di offrire ai propri clienti (aziende e famiglie) credito e servizi a condizioni più favorevoli. È evidente che se fossero i clienti a decidere sceglierebbero una banca unica; ma non sono loro, e gli interessi dei grandi azionisti di Unicredit non coincidono con quelli dei suoi clienti.

Per creare una banca unica è necessario smantellare tanti piccoli feudi, ciascuno con i suoi interessi locali, con le sue parrocchie e le sue poltrone da difendere. "Quando ci sono delle decisioni che incidono sul mio territorio ho diritto di dire la mia" ha proclamato ieri Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona. Non vi è dubbio, anche se il suo diritto si limita a poter esprimere un’opinione perché il sindaco di Verona non è un azionista di Unicredit. Tosi omette di spiegare perché teme la banca unica: forse perché essa ridurrebbe il suo "peso politico" in Unicredit? Oppure pensa che danneggerebbe le aziende della sua città? Ma se così fosse, come mai ieri Emma Marcegaglia, presidente degli industriali, è scesa in campo in difesa del progetto di Profumo? I politici della Lega non sono diversi dai vecchi democristiani: loro controllavano il territorio (e i voti) attraverso le Casse di risparmio e le municipalizzate, la Lega mi pare sulla stessa strada.

I piccoli feudi non esistono solo in Italia: l’altro ieri la Süddeutsche Zeitung lamentava che Monaco di Baviera non è più un grande centro finanziario; sono rimaste BayernLB, una cassa di risparmio in difficoltà, e l’ex Hvb, una banca che Unicredit ha acquistato salvandola dal fallimento. È curioso che dopo i loro clamorosi insuccessi i bavaresi oggi reclamino posizioni di comando in Unicredit (caso mai, voce in capitolo nella gestione della banca potrebbe chiederla a giusto titolo la Polonia, dove Unicredit va a gonfie vele).

Alessandro Profumo ha anche commesso degli sbagli: comprare Capitalia, per esempio, e gestire troppo frettolosamente l’ingresso dei libici. Ma oggi paga per una sua scelta giusta: non aver accettato di venire a patti con le consorterie che comandano in Italia. In quindici anni ha creato l’unica grande multinazionale con una testa italiana. I piccoli feudi sono fermamente intenzionati a distruggerla. Con il capitalismo dei feudi le nostre imprese non andranno lontane. E le modalità ieri usate dagli azionisti possono solo danneggiare la reputazione dell’Italia.

Francesco Giavazzi

22 settembre 2010

 

 

 

Al centro della vicenda trasferimenti per 23 milioni di euro da parte della banca vaticana

Riciclaggio, indagato presidente Ior

"Mi sento profondamente umiliato"

Lo scoramento di Ettore Gotti Tedeschi sotto inchiesta con il dg Paolo Cipriani.Il Vaticano: stupisce iniziativa pm

Al centro della vicenda trasferimenti per 23 milioni di euro da parte della banca vaticana

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Ettore Gotti Tedeschi, presidente dell'Istituto per le Opere religiose (Ansa)

Ettore Gotti Tedeschi, presidente dell'Istituto per le Opere religiose (Ansa)

MILANO - Ettore Gotti Tedeschi, presidente dell'Istituto per le Opere di Religione (Ior), e il direttore generale dello stesso Paolo Cipriani, sono indagati dalla procura di Roma per violazione del decreto legislativo 231 del 2007 che è la normativa di attuazione della direttiva Ue sulla prevenzione del riciclaggio. La loro iscrizione è legata al sequestro preventivo, firmato dal gip Maria Teresa Covatta su richiesta del procuratore aggiunto Nello Rossi e del pm Stefano Rocco Fava ed eseguito ieri, di 23 milioni di euro (su 28 complessivi) che si trovavano su un conto corrente aperto presso la sede romana del Credito Artigiano spa.

L'INCHIESTA - Nel mirino dell'autorità giudiziaria, sono finite due operazioni che prevedevano il trasferimento di 20 milioni alla JP Morgan Frankfurt e di altri tre alla Banca del Fucino. L'inchiesta della procura prende il via dalla segnalazione di una operazione sospetta da parte dell'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia con sospensione della stessa operazione per cinque giorni lavorativi. Ciò ha consentito al nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza e alla procura di attivarsi.

LA NORMA - Il sequestro - è bene precisarlo - non è stato disposto perchè c'è una prova di riciclaggio ma perchè, secondo chi indaga, è già stato commesso, da parte dei vertici dello Ior, il reato omissivo della norma antiriciclaggio. L'articolo 55 del decreto 231 del 2007, infatti, punisce con la reclusione da sei mesi a un anno e con la multa da 500 a 5000 euro "l'esecutore dell'operazione che omette di indicare le generalità del soggetto per conto del quale eventualmente esegue l'operazione o le indica false". E ancora, lo stesso articolo prevede l'arresto da sei mesi a tre anni con l'ammenda da 5000 a 50mila euro "dell'esecutore dell'operazione che non fornisce informazioni sullo scopo e sulla natura prevista dal rapporto continuativo o dalla prestazione professionale o le fornisce false". Questa indagine è la prima iniziativa assoluta (da quando, nel 2003, la Cassazione ha attribuito alla giurisdizione italiana la competenza sullo Ior) che chiama in causa la banca vaticana e i suoi vertici.

CONTROLLI RAFFORZATI - In una circolare del 9 settembre scorso Bankitalia fornisce agli istituti di credito indicazioni sui rapporti da tenere con lo Ior da considerare istituto di credito extracomunitario. Ciò impone per palazzo Koch obblighi di verifiche non semplificati ma rafforzati. È anche per questo motivo che l'Unità informazioni finanziarie ha attivato i controlli che hanno portato al sequestro dei 23 milioni e all'iscrizione sul registro degli indagati anche del presidente della banca vaticana. Altre operazioni dello Ior presso la filiale romana di via della Conciliazione sono da tempo nel mirino degli inquirenti di piazzale Clodio.

LA REPLICA DELLO IOR - Non si è fatta attendere la replica dello Ior che ha espresso perplessità sugli atti della procura e ribadito piena fiducia nell'operato di Gotti Tedeschi. "La Santa Sede manifesta perplessità e meraviglia per l'iniziativa della Procura di Roma" e conferma "la massima fiducia nel presidente e nel direttore generale dello Ior" si legge in una nota della segreteria di Stato diffusa dalla sala stampa della Santa Sede. "È nota la chiara volontà, più volte manifestata da parte delle autorità della Santa Sede - si legge ancora nella nota - di piena trasparenza per quanto riguarda le operazioni finanziarie dell’Istituto per le Opere di Religione (Ior). Ciò richiede che siano messe in atto tutte le procedure finalizzate a prevenire terrorismo e riciclaggio di capitali. Per questo - prosegue la nota vaticana - le autorità dello Ior da tempo si stanno adoperando nei necessari contatti e incontri, sia con la Banca d’Italia sia con gli organismi internazionali competenti - Organisation for Economic Co-operation and Development (Oecd) e Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale contro il riciclaggio di capitali (Gafi) - per l’inserimento della Santa Sede nella cosiddetta White List. La Santa Sede - sottolinea il Vaticano - manifesta perciò perplessità e meraviglia per l’iniziativa della procura di Roma, tenendo conto che i dati informativi necessari sono già disponibili presso l’ufficio competente della Banca d’Italia, e operazioni analoghe hanno luogo correntemente con altri istituti di credito italiani. Quanto poi agli importi citati si fa presente che si tratta di operazioni di giroconto per tesoreria presso istituti di credito non italiani il cui destinatario è il medesimo Ior. La Santa Sede - conclude - tiene perciò a esprimere la massima fiducia nel presidente e nel direttore generale dello Ior".

GOTTI TEDESCHI - "Da quando sono stato nominato alla presidenza dello Ior mi sono sforzato, insieme al direttore generale, dottor Paolo Cipriani, di affrontare i problemi per i quali oggi vengo indagato, dedicandomi a tempo pieno alla risoluzione degli stessi" sottolinea invece Ettore Gotti Tedeschi raggiunto telefonicamente dal direttore dell'ADNKRONOS Giuseppe Marra. "Mi sento profondamente umiliato - ha continuato Gotti Tedeschi - per quanto sta accadendo e non intendo aggiungere null'altro".

ALEMANNO - Solidarietà al presidente dello Ior arriva dal sindaco di Roma Gianni Alemanno. "Desidero esprimere la mia personale solidarietà al presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, del quale conosco la serietà e la correttezza professionale ed istituzionale. Mi auguro che questa vicenda che mi lascia alquanto perplesso si chiarisca al più presto" ha dichiarato Alemanno.

Redazione online

21 settembre 2010

 

 

 

 

 

REPUBBLICA

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2010-09-24

 

 

 

 

 

 

2010-09-22

UNICREDIT

Bossi: "Fondazioni ci difendano da tedeschi"

I litigi con Tremonti: "Sono solo fantasie"

Il leader della Lega esorta a "un'azione intelligente": "Le banche territoriali riusciranno a fare una difesa adeguata". E sulle dimissioni di Profumo: "Sono state al buio, meglio non rischiare con i soldi di mezzo". Il titolo in calo in Borsa. Marcegaglia: "Ora scelta di qualità". Giù il titolo in Borsa

Bossi: "Fondazioni ci difendano da tedeschi" I litigi con Tremonti: "Sono solo fantasie"

ROMA - All'indomani del braccio di ferro conclusosi con la sfiducia ad Alessandro Profumo 1, l'assetto e il futuro di Unicredit tengono banco anche negli ambienti politici. Sulla questione torna il leader della Lega Umberto Bossi che esorta le Fondazioni a difendere l'istituto di credito dai tedeschi. Contro il timore che la Germania si prenda "tutta la banca", serve una "azione intelligente" delle Fondazioni, dice il ministro delle Riforme conversando con i cronisti alla Camera. L'uscita di scena di Profumo non è piaciuta agli investitori, che temono una situazione di stallo: il titolo Unicredit ha chiuso con una perdita del 4% netto a un prezzo di 1,823 euro.

Da banche territoriali difesa adeguata. ''Spero che, sebbene in economia si debba sempre stare allerta, i tedeschi non riescano a combinare niente e non si portino via la Banca. Alla fine, le banche territoriali riusciranno a fare una difesa adeguata. L'unica cosa preoccupante - ha aggiunto il leader della Lega - è che hanno cambiato Profumo senza preparare le cose prima. E' meglio non rischiare quando ci sono i soldi di mezzo''. Quelle di Profumo "sono state dimissioni al buio, e di solito non si fa mai. Bisogna sempre trovare prima un sostituto", aggiunge Bossi, che guarda a Giuseppe Guzzetti, presidente Acri e Fondazione Cariplo, come cavaliere bianco che "riorganizzi

la difesa". "Avevo paura che la Germania potesse mettere le mani sulla banca, ma poi ho visto che non hanno i numeri - continua - Se c'è un minimo di azione intelligente da parte delle Fondazioni, i tedeschi non ce la possono fare. Spero che le Fondazioni non stiano con le mani in mano e che si organizzi una difesa. I soldi? A parte che ce li hanno bastano i numeri, più che i soldi... Penso che Guzzetti sia in grado di organizzare qualcosa".

"Il litigio con Tremonti: fantasie". "Sono cose fantasiose": il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, così ha definito, ai cronisti che lo incalzavano a Montecitorio, gli eventuali litigi con il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, a proposito delle dimissioni dell'ad di Unicredit, Alessandro Profumo. Poco dopo, lasciando l'Aula, è intervenuto anche lo stesso ministro Tremonti con una battuta: "Litigi? Eravamo a cena insieme ieri a litigare".

Marcegaglia: "Ora scelta di qualità". Su Unicredit ''credo che sia importante che si faccia una scelta di qualità nel più breve tempo possibile''. Sulle dimissioni di Profumo e il futuro della banca interviene anche la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, secondo la quale il nuovo amministratore delegato deve essere ''una persona che sia all'altezza, una persona di levatura internazionale che sappia portare avanti una banca che deve essere focalizzata sui territori ma anche che mantenga la vocazione internazionale perché per tutte le imprese italiane andare a conquistare i mercati esteri è fondamentale''. Poi, la presidente di Confindustria ha parlato dell'ex ad: "Conosco Alessandro Profumo da tempo e credo che abbia fatto un lavoro importante. Ha unificato varie banche - continua la numero uno di viale dell'Astronomia - ha creato una tra le principali banche italiane, la quinta in Europa. Mi spiace - ha concluso - che lasci questa carica, a lui va il mio ringraziamento per quello che ha fatto in questi anni".

La nota di Palazzo Chigi. Con una nota Palazzo Chigi smentisce l'editoriale pubblicato oggi da la Repubblica. "Sul quotidiano la Repubblica, a firma di Massimo Giannini, - si legge nella nota - è apparsa oggi una ricostruzione assolutamente fantomatica di una strategia sulla questione Unicredit da parte di Palazzo Chigi, una ricostruzione che va ben al di là di ogni possibile fantasia".

(22 settembre 2010)

 

 

 

BANCHE

Unicredit, il Cda sfiducia Profumo

l'ad firma la lettera di dimissioni

Prima la voce secondo cui l'ad aveva lascia con una lettera ai consiglieri per evitare di spaccare il consiglio. Poi nuovi rumors: "Ha consultato i legali ed ha deciso di andare avanti". Infine di fronte alla volontà del consiglio il manager lascia. Le deleghe al presidente Rampl

Unicredit, il Cda sfiducia Profumo l'ad firma la lettera di dimissioni Alessandro Profumo

MILANO - Un duro scontro fra i soci e la decisione di sfiduciare l'amministratore delegato Alessandro Profumo. Si conclude così la lunga giornata di Unicredit. Una giornata segnata da un giallo sulle dimissioni del manager e da una resa dei conti fra i consiglieri di amministrazione schierati con l'amministratore delegato accusato di aver aperto le porte della banca ai libici e chi ha voluto cogliere l'occasione per liberarsi di un personaggio, come ha detto lo stesso ad, "scomodo". Il consiglio ha votato all'unanimità, col solo voto contrario della consigliera indipendente Reichlin, di dare mandato al presidente Dieter Rampl di offrire ad Alessandro Profumo la risoluzione consensuale del rapporto a precise condizioni con le dimissioni contestuali. Se non le accetterà il Cda ha già deliberato la revoca delle deleghe attribuendole al presidente e risolvendo il rapporto con l'ad. A fronte di questa situazione Profumo, poco prima di mezzanotte, ha ceduto al volere del Cda firmando la lettere di dimissioni. Sembra che all'ormai ex amministratore delegato andranno 40 milioni di buonuscita.

La vicenda si è tinta di giallo in serata quando all'inizio del consiglio di amministrazione dell'Istituto di credito voci dall'interno, riportate da Sky, fanno trapelare che Profumo non si è presentato dimissionario, anzi, dopo una consultazione con i suoi legali, avrebbe deciso di affrontare lo scontro. Smentendo quindi le voci lasciate trapelare nelle ore precedenti secondo cui il banchiere si era dimesso, senza aspettare la discussione e le votazioni del consiglio di amministrazione. Si parlava di una lettera ai consiglieri evitando così una resa dei conti in cda.

A quel punto il Cda è diventato il teatro del redde rationem fra le due cordate che si sono confrontate sembra in modo molto duro con una parte, minoritaria, che avrebbe voluto continuare con l'amministratore delegato poi sfiduciato per dare "stabilità" alla banca. Posizione espressa da salvatore ligresti, socio di rilievo e consigliere di Piazza Cordusio, a margine del patto di sindacato di mediobanca aveva dichiarato di essere "favorevole alla stabilità" della banca.

La vicenda Unicredit si interseca con la riunione del cda e l'assemblea del patto di Mediobanca. E infatti il presidente del gruppo bancario Dieter Rampl non è andato stamattina nella vicina Piazzetta Cuccia, e si è trattenuto a Piazza Cordusio. In sede sono rimasti i tre vicepresidenti Vincenzo Calandra Bonaura, Luigi Castelletti e Fabrizio Palenzona, che però è uscito in macchina a metà mattina per partecipare al Cda di Mediobanca ed è rientrato verso le 14. In Piazza Cordusio sono presenti dalla mattinata anche tre dei quattro vice amministratori delegati: Sergio Ermotti, Roberto Nicastro e Paolo Fiorentino. Tra i consiglieri è stato visto entrare Franz Zwickl. Per la prima volta ha partecipato a un consiglio di amministrazione di Unicredit anche Farhat Omar Bengdara, governatore della Banca centrale Libica

azionista con il 4,98 per cento dell'istituto.

Intanto continua la polemica politica con il sindaco di Verona Flavio Tosi che in un intervento a Radio24 ha mosso dure critiche oggi nei confronti di Profumo: "Se ti trovi dalla sera alla mattina qualcuno in casa e nessuno ti ha avvisato e qualcuno lo sapeva è come se tu avessi il custode di casa tua che ti fa entrare uno senza avvisarti: più o meno quello che è successo in Unicredit". Per Tosi, bisognava invece "fermare i libici al 5%": "Mi occupo di politica e non faccio il banchiere ma far entrare dei soci come Gheddafi ed i libici vuol dire far entrare dei soci che potrebbero non fare gli interessi di Verona e del Veneto".

Ma il deputato del Pd Matteo Colaninno mette in guardia dalle intromissioni della politica nelle banche. "C'è una pesante regressione del mercato finanziario italiano a una decina d'anni fa, è in gioco l'indipendenza del sistema bancario dalla politica. Le fondazioni facciano i loro interessi e quelli del territorio, ma la governance di una banca deve presidiare l'indipendenza di una banca".

"Sono rientrato sabato scorso dall'America dove ero stato per un road show e nel pomeriggio una parte degli azionisti mi hanno detto che avevano deciso di sostituirmi", ha confessato ieri Profumo 1 ai suoi più stretti collaboratori. "La verità - ha detto ancora Profumo, secondo quanto riportato da fonti interne dell'istituto - è che sono un personaggio scomodo, non faccio parte del sistema, ho rifiutato la Telecom quando al governo c'era il centrosinistra, ho sbattuto la porta dal Cda Rcs".

(21 settembre 2010)

 

 

 

IL PERSONAGGIO

L'ultima battaglia di Profumo:

chi mi caccia lasci le impronte

Dietro le dimissioni del manager il pressing dei tedeschi, irritati dal pressing politico italiano. Dal ministero dell'Economia sollecitazioni per evitare soluzioni traumatiche. Il titolo soffre in Borsa

di GIOVANNI PONS

L'ultima battaglia di Profumo: chi mi caccia lasci le impronte Alessandro Profumo

MILANO - "Voglio le impronte digitali sulla mia uscita". Così avrebbe detto Alessandro Profumo ai suoi legali quando poco prima del consiglio di amministrazione ha chiesto che a monte delle sue dimissioni ci fosse una votazione palese per mettere nero su bianco l'atto di sfiducia nei suoi confronti.

In pratica Profumo ha chiesto che si manifestasse con un voto ciò che gli era stato riferito poche ore prima, cioè che la maggioranza degli azionisti non lo voleva più nel ruolo di amministratore delegato. E così in effetti è stato. Dopo gli interventi del banchiere centrale libico Farhat Bengdara - che pur difendendo l'operato di Profumo pare abbia ricordato come alla base dell'investimento vi siano state ragioni fondamentali e non legate agli uomini-guida - e della rappresentate dei fondi comuni Lucrezia Reichlin - ancora a favore di Profumo - la mozione è stata messa ai voti ottenendo l'astensione di Salvatore Ligresti e la contrarietà della Reichlin. Solo a quel punto si è arrivati a una bozza di soluzione per l'uscita dell'amministratore delegato che dal primo pomeriggio in poi si era barricato nelle stanze dello studio Bonelli, Erede, Pappalardo a studiare la strategia difensiva e i dettagli dell'accordo monetario. "Sono tranquillo e sereno, mi spiace per tutti gli uomini e le donne che in questi anni hanno lavorato con me. Mi dispiace interrompere questa magnifica avventura ma ogni storia prima o poi deve finire", ha detto Profumo dopo aver posto la firma in calce alle dimissioni da Unicredit.

La sua giornata più lunga era iniziata abbastanza presto in Piazza Cordusio dove si sono ritrovati una parte preponderante dei consiglieri. In un pre-vertice è stato il vicepresidente Fabrizio Palenzona a suggerire la via dell'accordo preliminare in modo da evitare una battaglia in seno al cda che avrebbe nuociuto all'immagine internazionale della banca. "Se è finito un ciclo va bene - avrebbe detto secondo fonti affidabili il banchiere dal passato democristiano - ma senza pretesti sulla Libia o sulla governance. Siamo passati sopra la governance tante di quelle volte". Insomma un tentativo di mediazione in extremis tenuto conto che fin dalla sera prima erano arrivate sollecitazioni dal ministero dell'Economia affinché venisse accantonata la decisione più traumatica. Tutto sommato non ci sono gli estremi della fretta, facevano notare da via XX Settembre, e non si può lasciare la prima banca italiana in mano ai tedeschi per troppo tempo. Indecisioni della tarda mattinata che si sono sommate ad alcune perplessità da parte di Bankitalia sulla governance transitoria che si sarebbe andata a formare con l'assegnazione di tutte le deleghe al presidente Rampl. Ma la svolta determinate contro Profumo è arrivata dai consiglieri tedeschi, in particolare il presidente della Mercedes Manfred Bishoff è apparso irremovibile alla luce delle interferenze che arrivavano dal mondo politico italiano.

Di lì la decisione della maggioranza dei consiglieri, inclusi quindi tutte le fondazioni, più i tedeschi ex Hvb e l'Allianz, di portare avanti un'uscita morbida, di comune accordo, senza scossoni, visto che sui mercati il titolo ieri ha sofferto per tutta la giornata sotto un forte flusso di scambi. E quando Profumo alle 15 è uscito dalla sede della banca sembrava che ormai le cose fossero definite, anche se il mercato per tutto il giorno è stato tenuto all'oscuro della situazione, con non poco disappunto dei fondi di matrice anglosassone. A gettare un po' di scompiglio arrivava poi la dichiarazione di Salvatore Ligresti, notoriamente poco incline alle esposizioni mediatiche, che si dichiarava favorevole alla stabilità della banca. Un sostegno implicito a Profumo sicuramente dovuto agli accordi di ristrutturazione del debito delle sue società avvenuti durante l'estate per i quali il contributo di Unicredit è stato determinante. Infine il precipitare degli eventi con la necessità di un'espressione palese del consiglio che sancisce un'uscita forse troppo travagliata per un manager che nel corso degli ultimi quindici anni ha costruito passo passo l'Unicredit fino a farlo diventare uno dei primi istituti europei. E al quale non sono stati mossi addebiti particolari, se non un carattere poco conciliante e la scarsa inclinazione ad adottare soluzioni cosiddette di "sistema".

(22 settembre 2010)

 

 

IL CASO

E Profumo finisce già in politica

"Può essere il papa straniero del Pd"

Il partito ne misurerà la popolarità con un sondaggio. Chiamparino: "Per come lo conosco, non è interessato a un ruolo pubblico". Il manager ha votato per due volte alle primarie: nel 2005 (candidato Prodi) e poi nel 2007, quando la moglie si candidò con la Bindi

di GOFFREDO DE MARCHIS

E Profumo finisce già in politica "Può essere il papa straniero del Pd" Profumo vota a Milano alle primarie Pd del 2007

ROMA - Neanche il tempo di uscire dalla porta secondaria di Piazza Cordusio e Alessandro Profumo finisce nel totonomi dei futuri leader del Pd. La suggestione del Papa straniero, rilanciata da Walter Veltroni, lo precipita nella mischia, suo malgrado. Segno di un partito agitato, ancora instabile. Tutti dicono: "Impossibile". Ma ne parlano. Dice Sergio Chiamparino, uno dei dirigenti democratici più vicini al banchiere: "Una discussione del tutto assurda. Per quello che lo conosco Profumo non è interessato alla carriera politica". Ma è sicuramente un uomo d'area, un cittadino-elettore del Partito democratico.

Per due volte Profumo si è messo in fila e ha votato alle primarie del centrosinistra. La prima nel 2005 quando fu scelto Romano Prodi. La seconda nel 2007, quando la moglie Sabina Ratti si candidò con Rosy Bindi per entrare nell'assemblea nazionale del Pd. Una partecipazione attiva, pubblica, trasparente. Lasciò molti di stucco. Evidentemente Profumo crede (o credeva) sia nello strumento sia nei principali concorrenti di quella competizione. E nonostante le parole di Chiamparino, in passato gli è stata attribuita la tentazione della politica.

Profumo ha sicuramente un buon rapporto con Massimo D'Alema. Non solo perché Unicredit è la proprietaria della Roma, squadra del cuore dell'ex premier. Nel 2006 il banchiere partecipò a un Forum di Italianieuropei a Sesto San Giovanni insieme con Montezemolo e Enrico Letta che fu soprattutto una celebrazione del ruolo internazionale di D'Alema, allora ministro degli Esteri. Con Pier Luigi Bersani si scontrano due caratteri molto diversi, ma la stima del segretario Pd è indubbia. Piace un manager "vicino" che ha saputo tenere fuori la politica da Unicredit. La Bindi lo ha incontrato un paio di volte con la moglie durante la campagna per le primarie 2007. "Venne alla casa della Carità di don Virginio Colmegna". Luogo di volontariato. Che Profumo frequenta spesso, evitando come la peste i salotti. Scelse dunque la Bindi nel 2007, avversaria di Veltroni in quella corsa. Ma se c'è oggi un uomo libero in grado di scompaginare le carte del centrosinistra e avere il profilo del Papa straniero, quell'uomo può essere Profumo.

Il Pd farà monitorare attraverso i sondaggi il grado di popolarità di un personaggio che ha sempre preferito l'ombra. Succederà nei prossimi giorni. Per ora dirigenti di diversi orientamenti hanno reazioni del tipo "oddio, un'altra grana no". "Io non cerco un papa straniero. E mi sembra eccessivo candidare una persona che mezz'ora fa ha lasciato la sua banca", dice il prodiano Giulio Santagata. Urticante il commento di Beppe Fioroni: "Prendere come leader uno che è appena stato cacciato mi pare un'idea singolare della politica". Ma in privato non sottovaluta affatto le chanche di Profumo: "Un manager di straordinario rilievo". Alle prese con i guai interni i democratici scacciano nuovi fantasmi. Bindi spiega: "È una questione di rispetto. Non possiamo tirare la giacca di un banchiere che ha appena vissuto un momento difficile. E va rispettato un partito che non può subire tutti i giorni il totonomi". Il coordinatore della segreteria Maurizio Migliavacca condivide la linea: "Evitiamo mancanze di riguardo sia verso Profumo sia verso il Pd". Antonio Di Pietro, altro cacciatore di papi esterni alla politica, boccia a suo modo l'idea: "Ognuno faccia il suo mestiere. Di ragionieri che hanno gestito il potere delle lobby l'Italia può fare a meno". Eppure, senza dubbio, i leader Pd cercano o cercheranno Profumo. Sonderanno le sue intenzioni. Se qualcuno punterà su di lui si ricordi che il giro giusto è questo. L'ex ad di Unicredit ha firmato il "patto generazionale" promosso da Luca Josi. Una carta che impegna i contraenti a mollare tutte le poltrone a 60 anni. Profumo ne ha 53.

(22 settembre 2010)

 

 

 

L'ANALISI

La vittoria dell'asse

Berlusconi-Geronzi

di MASSIMO GIANNINI

La battaglia contro Alessandro Profumo e la conquista di Unicredit è l'ultima, grande operazione del capitalismo di rito berlusconiano-geronziano. L'indecoroso "dimissionamento" dell'amministratore delegato e il clamoroso ribaltone al vertice della prima banca italiana non è solo la sconfitta di una certa idea del libero mercato, dove ognuno fa il suo mestiere: la politica detta le regole del sistema, i manager gestiscono le società creando valore per gli azionisti, e i soci incassano gli utili e i dividendi. In Italia non funziona così: nelle grandi casseforti dell'economia e della finanza, spesso blindate tra partecipazioni incestuose e relazioni pericolose, politici arrembanti e azionisti deferenti si alleano per far fuori i manager disobbedienti. Letta in questa chiave, la battaglia di Piazza Cordusio e la cacciata di Profumo lasciano sul campo due sicuri vincitori: Silvio Berlusconi e Cesare Geronzi. Il presidente del Consiglio ottiene una vittoria politica, in vista dell'appuntamento cruciale che, nella sua agenda, è fissato per il marzo 2011: le elezioni anticipate. Il presidente delle Generali strappa una vittoria finanziaria, in vista della mossa che, nella sua testa, chiuderà il "Risiko" dei Poteri Forti: la fusione Generali-Mediobanca.

Tra un appuntamento a Palazzo Chigi (dove dispone di un suo ufficio) e una colazione da Mario a via dè Fiori (dove pranza con gli ospiti di riguardo) lo spiega direttamente Luigi Bisignani, fiduciario di Gianni Letta e uomo di raccordo della filiera berlusconian-geronziana: "Voi continuate a mettermi in mezzo, ma con questi affari io non c'entro. Detto questo, mi pare che stiamo solo al primo passo: il prossimo sarà la grande fusione... ". La "grande fusione", appunto. Cioè il "merger" Mediobanca-Generali, di cui il Cavaliere di Arcore dichiara di non occuparsi e il Leone di Trieste giura di non sapere nulla. In realtà le cose stanno diversamente. E l'affondamento di Profumo è solo una tappa, in questo percorso di guerra. Unicredit è il primo azionista di Mediobanca, con l'8,6% del capitale. Qualunque operazione su Piazzetta Cuccia non si può fare, se non controlli il capo-azienda di Piazza Cordusio. Anche per questo è partito l'attacco a "Mister Arrogance". Ecco in che modo.

La partita politica. Come riassume un ministro che si è occupato in questi mesi della vicenda, "il destino di Profumo era segnato da un anno e mezzo, e lui era il primo a saperlo". In parte è così. L'amministratore delegato sapeva di avere ormai troppi nemici, dentro e fuori dalla banca. C'è chi sostiene addirittura che la sua fine sia stata decretata l'8 luglio, nella famosa cena a casa di Bruno Vespa, dove Berlusconi, seduto a fianco di Cesare Geronzi, avrebbe imposto al governatore della Banca d'Italia Draghi uno "scambio": io ti sostengo per la corsa alla Bce, tu non ti opponi al ribaltone in Unicredit. Ipotesi ardita. Forse fantasiosa. Sta di fatto che il ministro del Tesoro Tremonti, non invitato a quella cena, non ha gradito. E da quel momento, dopo aver bastonato per due anni le banche e i banchieri, ha curiosamente cominciato a difendere Profumo.

E sta di fatto che lo stesso Profumo, prima dell'estate, si è mosso con i libici, per cercare una sponda che gli desse manforte contro gli altri azionisti all'attacco, dalle Fondazioni delle Casse del Nord ai tedeschi dell'Allianz guidati dal presidente di Unicredit Dieter Rampl. Per questo all'inizio di agosto, alla vigilia della partenza per le ferie, lo stesso Profumo è andato in missione ad Arcore, a spiegare a Berlusconi il senso dell'ingresso dei libici nel capitale Unicredit. Dal suo punto di vista, i fondi sovrani del Colonnello Gheddafi dovevano essere il suo "cavaliere bianco". E invece si sono rivelati il "cavallo di Troia", che lo stesso Berlusconi, Bossi e Geronzi - attraverso Palenzona, Biasi e Rampl - hanno usato per sfondare le sue difese.

Il premier, in quell'occasione, ha dato ampie garanzie a Profumo: "Procedi pure con i libici". Ma è stata una pillola avvelenata. Nel frattempo il suo affarista di fiducia per l'area Sud del Mediterraneo, Tarak Ben Ammar, con la benedizione di Geronzi di cui è a sua volta amico personale, ha trattato direttamente con Gheddafi i termini del suo impegno in Unicredit. Un impegno che doveva servire da alibi, per lanciare l'offensiva contro Profumo, ancora una volta all'insegna (pretestuosa) della difesa dell'"italianità" dei campioni nazionali. Il segnale che l'operazione libica stava prendendo una piega diversa da quella immaginata dall'amministratore delegato è arrivato un mese dopo. Il 25 agosto, al meeting di Cl a Rimini, proprio Geronzi si è lasciato andare a una frase sibillina: "Fin dai tempi di Capitalia, i libici sono stati i migliori soci che io abbia mai avuto". È parsa una dichiarazione distensiva verso l'aumento progressivo della partecipazione dei fondi di Tripoli in Unicredit. E invece è stata solo un'altra pillola avvelenata contro Profumo.

Lo si è capito pochi giorni più tardi, quando il 30 agosto il Colonnello è sbarcato a Roma, accolto con tutti gli onori dal presidente del Consiglio e dalla plaudente "business community" italiana. Tra il faccia a faccia a Palazzo Chigi e la cena alla caserma Salvo D'Acquisto, Gheddafi e Berlusconi hanno parlato dell'affare Unicredit. Subito dopo, Geronzi si è recato a Palazzo Grazioli, è ha messo a punto insieme al Cavaliere il piano d'attacco a Profumo. Un piano in tre mosse. Prima mossa: allarme mediatico per la "scalata libica", lanciato ai primi di settembre dalla Lega, che ha costretto la Consob e la Banca d'Italia a chiedere chiarimenti a Profumo. Seconda mossa: attacco mediatico dalla Germania, con la "Suddeutsche Zeitung irritata per "l'arroganza" del ceo. Terza mossa: convocazione di un consiglio straordinario da parte dei "grandi azionisti", per ridiscutere l'operato del management. È esattamente quello che è accaduto in queste tre settimane, e che ha portato l'amministratore delegato alla resa finale.

La vittoria politica di Berlusconi si può riassumere così. In uno scenario che precipita palesemente verso le elezioni anticipate, il premier sistema la partita strategica di Unicredit, si libera di un manager troppo autonomo dal Palazzo, e in un colpo solo rinsalda il suo patto di ferro con Umberto Bossi, sigla una tregua con il governatore di Bankitalia Draghi, e ridimensiona le velleità politiche del suo ministro-antagonista Tremonti. Sembra fantascienza. Ma forse non lo è affatto. Lo prova, paradossalmente, la sobrietà con la quale lo stato maggiore del Carroccio festeggia le dimissioni di Profumo. Lo prova, allo stesso modo, la battaglia non proprio campale che Via Nazionale ha condotto per difendere la governance della prima banca italiana. Lo prova, infine, l'ultima battuta di Tarak, all'uscita della riunione del patto Mediobanca di ieri: "I libici irritati per quello che è successo a Unicredit? Non credo affatto...". Per molte ragioni, la sconfitta di "Mister Arrogance" ha accontentato diverse casematte del potere, politico ed economico.

La partita finanziaria. Se il premier su Unicredit ha giocato dunque la sua partita politica, Geronzi su Profumo ha giocato la sua partita finanziaria. E lo ha fatto con l'obiettivo raccontato da Bisignani. Espugnare la fortezza di Piazza Cordusio, per poi coronare il progetto che si porta dietro dalla scorsa primavera, da quando cioè ha traslocato dal vertice di Mediobanca alla presidenza delle Generali: fondere Piazzetta Cuccia con il Leone di Trieste. E così ridefinire una volta per tutte, a suo vantaggio, gli equilibri del capitalismo italiano. Da maggio scorso, a dispetto di una governance che formalmente assegna allo stesso Geronzi poche deleghe in Generali, lasciando a Mediobanca il controllo delle partecipazioni strategiche come Rcs, Telecom e le banche, il nuovo Cesare del capitalismo italiano ha ingaggiato una guerra senza quartiere con i due "alani" rimasti a Piazzetta Cuccia. Lo ripete lo stesso Bisignani, senza farne mistero: "Con Renato Pagliaro e Alberto Naghel gli scontri sono continui...".

Geronzi si sta smarcando sempre di più, dall'orbita Mediobanca. E lo fa non per lasciare all'Istituto che fu di Enrico Cuccia la sua piena autonomia, ma per raggiungere il risultato contrario: cioè tornare a comandare anche lì. Con l'operazione di "reverse merger" di cui si parla da tempo, e che "Repubblica" ha anticipato nella primavera scorsa, e che ora lo stesso Bisignani conferma. Un'operazione che, secondo fonti di mercato, coinvolgerebbe persino la Mediolanum, di cui il premier vuole disfarsi, perché non sa cosa farne, e che lo stesso Geronzi sarebbe pronto ad accollarsi, per rendergli l'ennesimo favore. Sembra fantascienza, anche questa. Domani fioccheranno smentite. Ma anche fino alla scorsa primavera il banchiere di Marino aveva smentito il suo progetto di trasferirsi in Generali. Sappiamo poi com'è andata a finire.

Al fondo, resta l'immagine di un capitalismo ancora una volta provinciale, asfittico, autoreferenziale, etero-diretto dalla politica. In questa ultima grande partita del potere italiano non ha perso Profumo, uno dei pochi grandi banchieri di caratura internazionale in questo sciagurato paese. Ha perso l'intera, sedicente "élite" della solita, piccola, Italietta.

(22 settembre 2010)

 

 

 

 

 

 

 

L'UNITA'

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2010-09-24

 

 

 

 

 

 

2010-09-22

Bossi: "Le Fondazioni si difendano dai tedeschi"

Le Fondazioni bancarie "non stiano con le mani" e "difendano" Unicredit dai tedeschi. È quanto chiede il leader della Lega Umberto Bossi, dopo le dimissioni dell'ad dell'istituto Alessandro Profumo. Richiesto di un commento, il leader leghista spiega: "C'era la paura che i tedeschi si prendessero tutta la banca, ma non hanno i numeri: con un minimo di azione intelligente da parte delle Fondazioni non ce la possono fare". Dunque "spero che le fondazioni non stiano con le mani in mano: qualcuno organizzi la difesa dai tedeschi, tiri le fila". E Bossi individua chi può farlo: "Giuseppe Guzzetti è in grado di organizzare qualcosa". All'osservazione di un cronista sulle possibilità economiche delle fondazioni, Bossi replica: "I soldi ce li hanno, ma poi non contano i soldi quanto i numeri".

Il leader della Lega ha inoltre aggiunto: "Le dimissioni di Profumo da Unicredit sono state fatte al buio, di solito non si fa mai, si doveva trovare prima un sostituto".

22 settembre 2010

 

 

 

Ipotesi "Papa straniero", il Pd si interroga

Nel primo pomeriggio si materializza l'ennesimo fronte di discussione interna al Pd: Alessandro Profumo si è dimesso, lascia i vertici di Unicredit. Perché, pur impegnati nelle ultime discussioni interne, pur distratti dal documento dei 75, dai tormenti dei popolari, dal botta e risposta Bersani-Veltroni, molti tra i democratici ci pensavano da stamattina.

Tanto spazio dedicato al caso del banchiere ligure e un passaggio sui giornali: "Non si può escludere, vista la giovane età e l'impegno civile del personaggio dimostrato in più occasioni, una discesa nell'agone politico in questo momento di grande confusione morale e istituzionale per l'Italia repubblicana". Così il l'ipotesi "Papa straniero" diviene uno dei maggiori incubi dell'attuale dirigenza del Pd. Così, in Transatlantico, nei capannelli dei deputati "dem", l'ombra del "Papa straniero" è venuta a coincidere in maniera clamorosa con quella di Profumo. O peggio, e questo è sembrato agitare ancora di più le discussioni nel Pd, con il "nuovo Prodi" evocato solo qualche giorno fa da Walter Veltroni. Che poi, per inciso, ha anche specificato che il papa straniero "non sono io".

"Stimo Profumo, ma prendere come leader uno che è stato appena cacciato, è un'idea ben singolare di politica". Così Beppe Fioroni commenta la proposta di candidare l'ex a.d. di Unicredit a leader del centrosinistra. "E poi il segretario ce lo abbiamo già - aggiunge Fioroni - e noi vorremmo aiutarlo col nostro documento a tirar su il partito".

L'impressione, almeno nel palazzo, è che l'argomento in casa democratici sia davvero da maneggiare con cura. Profumo è sempre stato considerato vicino a Romano Prodi, e infatti nel 2005 lo stesso banchiere andò al seggio delle primarie dell'Unione che incoronarono il Professore candidato premier e nel 2007 la moglie di Profumo si candidò nelle liste di Rosy Bindi alle primarie del Pd. L'ex Ad votò anche alla primarie.

Molti indizi, ma non una prova. Così, tutti hanno subito guardato ai veltroniani, disegnando un complotto dai tratti cinematografici. Marco Minniti se l'è cavata con l'ironia: "Adesso diranno che noi 75 firmatari del documenti Veltroni sapevamo, che abbiamo fatto cacciare Profumo e che ora lo candidiamo a laeder del Pd magari con i milioni sequestrati allo Ior. Vorrebbe dire che il Pd torna davvero al centro del sistema, ma viene da ridere". Allora, occhi puntati sui prodiani. Ma anche qui, è Giulio Santagata a spiegare che non c'è "guazza": "La politica è messa male, ma non è che dobbiamo trovare obbligatoriamente un non politico per affrontare le urne -dice l'ex ministro del governo Prodi-. Non che non mi piacerebbe, ma è difficile dire che è lui l'uomo ideale per il centrosinistra".

21 settembre 2010

 

 

 

 

 

Unicredit non ha più Profumo L'ad ha firmato 40 milioni per buonuscita

Unicredit non ha più Profumo. Il cda ha messo alla porta l'amministratore delegato revocandogli le deleghe e conferendole al presidente, Dieter Rampl, che ha ricevuto il mandato dal consiglio a proporre e identificare nelle prossime settimane il successore. Alessandro Profumo ha voluto giocare le sue carte fino all'ultimo cercando la fiducia del consiglio. Ha trovato solo il voto favorevole del consigliere indipendente, Lucrezia Reichlin in una riunione durata ben 4 ore e mezza: c'era anche anche Farhat Omar Bengdara, vice presidente ma soprattutto Governatore della Central Bank of Lybia che ha una quota del 4,98% dell'istituto.

Il Cda ha offerto al manager la risoluzione consensuale del rapporto chiedendogli una risposta entro la mezzanotte, ma revocandogli le deleghe. La risposta non si è fatta attendere. "Ha firmato, ha rassegnato le dimissioni", ha detto la moglie Sabina Ratti lasciando, in tarda serata, lo studio legale Erede Bonelli Pappalardo. Solo all'una di notte, dopo che Profumo era rientrato in banca per ufficializzare il suo addio, è uscito il comunicato ufficiale dell'istituto. Profumo riceverà una buonuscita di 40 milioni di euro di cui due da destinare in beneficenza.

Chi prenderà il posto di Profumo? Negli ultimi giorni sono circolati diversi nomi: da Gianpiero Auletta Armenise (già alla guida di Ubi Banca) a Matteo Arpe, ex numero uno di Capitalia ora a Banca Profilo. A questi si sono poi aggiunti Enrico Tommasso Cucchiani, numero uno di Allianz Italia, e Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca. Ma sono ipotesi, le ultime due, giudicate fantasiose.

Che l'amministratore delegato di Unicredit Profumo lasciava l'incarico sembrava ieri chiaro, ma in tarda serata non sembrava più così sicuro. La decisione era stata comunicata con una sua lettera al Consiglio di amministrazione che si è riunito alle 18. Ma in serata tra i consiglieri c'è stato scontro.

A prendere il posto di Alessandro Profumo alla guida di UniCredit dovrà essere una personalità di profilo "altissimo e internazionale", come sottolineano più fonti vicine ai principali azionisti della banca. Braccio di ferro per tutto il giorno per evitare uno scontro nel Cda. Poi l'accordo con i grandi azionisti e l'Ad si allontana da piazza Cordusio.

L'addio di Profumo si è subito abbattuto sul titolo in Borsa. A Piazza Affari la banca di piazza Cordusio lascia sul terreno il 2,1% attestandosi a 1,89 euro. I titoli hanno avviato le contrattazioni in calo di oltre il 3%, ma poi un poco hanno recuperato. Consistenti i volumi degli scambi: sono passate di mano oltre 502 milioni di azioni, quasi il doppio rispetto alla media dell'ultimo mese (280,6 milioni di pezzi). Si tratta del 2,6% del capitale ordinario.

"Alla fine si era fatto qualche nemico di troppo", ha commentato "a caldo" il Financial Times in un articolo online della rubrica di approfondimento Lex Column. "Gli azionisti ne avevano abbastanza di quelle che consideravano arroganza e inaffidabilità dell'amministratore delegato". Il quotidiano non manca di ricordare i meriti del banchiere. Formatosi a McKinsey, sotto la sua guida Unicredit ha seguito un percorso di "crescita, razionalizzazione e innovazione. Inizialmente gli investitori erano soddisfatti. Tra inizio 1997 e metà 1998 le quotazioni in Borsa si erano moltiplicate per sei. Unicredit aveva fatto quello che Profumo aveva detto. Era diventata un brand nazionale - dice ancora l'Ft - aveva guidato i consolidamenti fino a culminare nell'acquisizione di Capitalia".

22 settembre 2010

 

 

L'origine della crisi: due anni fa...

di r.g.tutti gli articoli dell'autore

Non abbiamo bisogno di un aumento di capitale, io non mi dimetto". Bisogna tornare indietro di un paio d’anni, proprio in questo periodo, mentre i mercati internazionali sono devastati dalla più grande bufera finanziaria mai vista. In America fallisce la Lehman Brothers, "la banca che non poteva fallire", e in Italia la speculazione inizia a colpire Unicredit: molti pensano che la banca sia debole, che possa crollare. Alessandro Profumo, cui non manca il coraggio e la sicurezza per esporsi in prima persona, va dal suo amico interista Gianni Riotta al Tg1 e pronuncia frasi rassicuranti per se stesso e la sua banca.

Questo è il momento chiave, qui si capisce che Profumo sta sottovalutando quello che succede, forse è condizionato da quella che in Borsa chiamano la "sindrome Schimberni", l’ex amministratore delegato della Montedison che sognava e praticava l’emancipazione del manager, del capo azienda, dal controllo e dai vincoli degli azionisti, per poter parlare direttamente al mercato e ai risparmiatori convinto di poter risolvere ogni problema. Il giorno dopo Unicredit è travolto dalle vendite in Borsa, il consiglio di amministrazione prepara e delibera al più presto un maxi aumento di capitale, a un prezzo largamente superiore alle quotazioni di mercato. A garanzia dell’aumento di capitale interviene Mediobanca, allora guidata da Cesare Geronzi ex presidente di quella Capitalia finita dentro Unicredit.

Tra Profumo e Geronzi, oggi alla guida delle Generali, i rapporti non sono mai stati troppo buoni. C’è una diversità di vedute e di filosofia nelle conduzione degli affari. È Geronzi che invita la Banca centrale libica a sottoscrivere una quota dell’aumento di capitale di Unicredit, così come era stato Geronzi ad accogliere i libici prima nella Banca di Roma e poi in Capitalia. La posizione degli interessi di Gheddafi non è marginale, diventa decisiva prima nella sottoscrizione dell’aumento di capitale che garantisce alla banca nuovbe risorse, e poi negli assetti azionari. Crisi o non crisi, da due anni la gestione di Profumo non è più stata brillante e sicura come un tempo. Una stagione forse è finita.

21 settembre 2010

 

 

La politica nelle banche

di Rinaldo Gianolatutti gli articoli dell'autore

All’improvviso le banche e i banchieri tornano al centro della scena italiana, riconquistano le prime pagine dei giornali con inchieste giudiziarie e scontri politici e finanziari che inaugurano una nuova, pericolosa stagione di instabilità. Oggi dobbiamo parlare ancora di Alessandro Profumo e delle sua ultima battaglia per restare alla guida di Unicredit, contro le pressioni della Lega, le altre indebite operazioni politiche, il pericolo di altre commistioni tra politica e affari, tra Roma e la Libia.

Ma come se ci fosse un abile regista occulto, il caso ha voluto che la notizia dell’addio dell’amministratore delegato di Unicredit coincidesse con una rilevante novità giudiziaria: un’inchiesta della procura di Roma per violazione delle norme europee sul riciclaggio da parte dell’Istituto per le Opere di Religione, lo Ior, la banca del Vaticano. Indagati sono il presidente Ettore Gotti Tedeschi e il direttore generale Paolo Cipriani. Sequestrati 23 milioni di euro. Il Vaticano è sorpreso, Gotti Tedeschi si sente profondamente umiliato, i politici di centrodestra da Alemanno a Gasparri solidali con i vertici dello Ior e naturalmente sicuri che nessuno ha combinato nulla di grave. Speriamo tutti che non ci siano reati gravi da perseguire, la presunzione di innocenza vale per tutti. La magistratura farà la sua parte.

Però, chissà perché, la notizia dell’indagine sullo Ior e le reazioni politiche immediate a difesa dei banchieri vaticani ci hanno fatto tornare alla mente un’altra importante inchiesta in cui fu coinvolto lo stesso Ior, quella degli anni Ottanta nell’ambito del crac del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Ricordiamo quella stagione anche per tributare un omaggio all’ammirevole lavoro compiuto allora dai giudici istruttori di Milano Antonio Pizzi e Renato Bricchetti che dopo aver ricostruito i traffici di Calvi, dei suoi amici piduisti, compresi quelli che si erano infilati nel Corriere della Sera, arrivarono ad accusare di bancarotta fraudolenta i vertici dell’epoca della banca vaticana: il cardinale Paul Marcinkus, Pellegrino de Strobel e Luigi Mennini. Anche allora, naturalmente, non mancarono i segni vistosi della solidarietà di certi ambienti politici verso quei banchieri accusati di gravissimi reati che non solo avevano destabilizzato un grande gruppo bancario e finanziario, ma avevano mijacciato la stabilità delle istituzioni democratiche del Paese. L’opera meritoria di Pizzi e Bricchetti si fermò, purtroppo, davanti al Vaticano e alle leggi dell’epoca, la Corte di Cassazione nell’87 e poi la Corte Costituzionale nell’89 stabilirono che la giustizia italiana non poteva procedere contro i banchieri vaticani. Così Marcinkus e i suoi collaboratori la fecero franca, restarono impuniti.

Oggi siamo in un’altra stagione, la magistratura può indagare sullo Ior che, dopo anni di opacità e di misteri, si è sforzato di rendere più trasparente le sue attività, anche se questo processo non è concluso. Anche in questo caso, però, un’inchiesta su una banca diventa un fatto politico, come se ci fosse un legame impossibile da rescindere tra politica e credito come insegna il caso Unicredit.

Alessandro Profumo ieri ha chiesto al consiglio di amministrazione di votare la fiducia sul suo operato. È stato un gesto importante, quasi un sfida a chi lo vuole buttare fuori, da parte dell’amministratore delegato di Unicredit. Un atto che ha prodotto tensioni e polemiche tra i consiglieri che ben comprendono la delicatezza di votare la sfiducia pubblica a un banchiere fino a ieri apprezzato e stimato a livello internazionale.

Ma il divorzio da Profumo non risolve il problema di Unicredit che perde il regista della trasformazione e della crescita di una ex banca di interesse nazionale, il Credito Italiano, verso una dimensione internazionale. I problemi più gravi si aprono oggi, il giorno dopo. Se i mercati e gli investitori internazionali percepiranno, come pare, l’uscita di Profumo come il risultato non solo di legittime critiche al suo operato manageriale, ma come l’esito di un’aggressione politica e di un’alleanza indebita tra partiti di governo e interessi finanziari,allora il peggio deve venire.

Il caso dell’amministratore delegato di Unicredit, comunque lo si giudichi, riapre una questione grande e delicata, quella dei rapporti tra politica e sistema creditizio, del ruolo delle fondazioni nell’assetto proprietario degli istituti. In questi ultimi mesi, dopo la vittoria della Lega alle ultime elezioni amministrative, abbiamo assistito a una crescente pressione delle regioni e dei comuni a guida leghista, che nominano i consiglieri delle fondazioni bancarie, sul management e sul vertice di grandi banche come Unicredit e Banca Intesa Sanpaolo, i due più importanti poli creditizi.

Le accuse e gli attacchi dei vari Tosi, Zaia, Bossi ad Alessandro Profumo e Corrado Passera sono stati trascurati dal governo e dal ministro dell’Economia Tremonti che, forse pentito delle polemiche e dei veleni passati, avrebbe addirittura cercato di difendere alla fine la poltrona di Profumo. L’aggressione leghista, realizzata con la piena complicità di Silvio Berlusconi che non ha mai sopportato banchieri giudicati di sinistra, è arrivata a conclusione. Non c’è alcun dubbio che l’ uscita di Profumo sia un punto a favore degli irresponsabili leghisti. Ma oltre a questo è molto probabile che da domani il sistema bancario italiano non sarà più lo stesso. Se passa lo stile della Lega, una specie di "metodo Boffo", oggi contro Profumo e domani contro Passera, allora dobbiamo prepararci a nuovi scontri di potere, dove in palio c’è la conquista degli sportelli bancari e l’erogazione del credito, strumenti di creazione del consenso. In più la novità maturata in Unicredit inaugura un’altra fase di instabilità tra politica, credito e istituzioni locali e rischia di pregiudicare l’intero sistema bancario proprio in un momento in cui il tessuto economico ha bisogno di un forte sostegno per uscire dalla crisi.

Certo in questo paese non si può mai star tranquilli. Quello che andava bene ieri, oggi non va più bene. Ieri l’ex governatore Fazio difendeva l’italianità e finiva sotto accusa perchè vuoi mettere la modernità dell’apertura agli stranieri. Così l’Unipol non ha potuto prendere la Bnl finita ai francesi e Della Valle e Abete promettevano il calo del costo del denaro (ma dove?). Ora lo straniero è fuori moda, ci vuole la banca leghista.

22 settembre 2010

 

 

 

Sequestrati conti dello Ior Indagati Gotti e Cipriani

di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore

Ci sono inchieste giudiziarie dal contenuto rivoluzionario. Destinate, se confermate, a chiudere un’epoca e ad aprirne un’altra. Quella firmata ieri dalla procura di Roma è una di queste. Perchè l’Istituto di opere religiose, la banca centrale dello Stato vaticano, buco nero che negli anni ha inghiottito miliardi, misteri e cadaveri, cessa definitivamente di essere un paradiso fiscale e diventa una banca soggetta ai controlli (almeno qualcuno) dello Stato italiano. Lo Ior diventa un pò più vulnerabile. Non ancora nudo e neppure trasparente ma comunque senza le protezioni che lo avevano reso inviolabile.

Decreto di sette pagine

L’aggiunto Nello Rossi e il sostituto Stefano Rocco Fava hanno chiesto e ottenuto dal gip Maria Teresa Covatta il sequestro preventivo di 23 milioni di euro, soldi che stavano transitando da un conto Ior presso una filiale del Credito Artigiano spa su altri due conti, sempre dello Ior, presso la Jp Morgan di Francoforte e la banca del Fucino. Il sequestro ha comportato automaticamente l’iscrizione sul registro degli indagati dei due legali rappresentanti dell’istituto di credito, il presidente Ettore Gotti Tedeschi e il direttore centrale Paolo Cipriani. L’ipotesi di reato è violazione delle norme antiriciclaggio: Gotti Tedeschi e Cipriani, in quanto legali rappresentanti, avrebbero omesso di indicare, in tutto o in parte, le generalità del soggetto per cui è stata eseguita l’operazione. I due bonifici, per un totale di 23 milioni di euro, sono stati disposti il 15 settembre. Contemporaneamente è scattata la segnalazione dell’Unità informativa finanziaria della Banca d’Italia, gli 007 di palazzo Koch, che ha provocato il congelamento dell’operazione per cinque giorni. Periodo di tempo entro il quale non sarebbero arrivate le necessarie informazioni. E il 20, lunedì, è scattato il sequestro preventivo.

Il decreto del gip Covatta, sette pagine molto tecniche, fanno riferimento a una sentenza della Cassazione del 2003 con cui fu attribuita alla giurisdizione italiana la competenza sullo Ior (fino a quel momento l’Istituto era intoccabile pur rapportandosi ad istituti italiani), a un decreto del 2007 sulle norme di antiriciclaggio e a varie circolari di Bankitalia (l’ultima è del 9 settembre) che ribadiscono che "per gli istituti di credito italiani lo Ior va considerato un istituto extracomunitario per cui gli obblighi di verifiche sono rafforzati". Non è possibile, ad esempio, far partire o ricevere un bonifico anonimo. Cosa che invece è successa il 15 settembre al conto n°49557 del Credito Artigiano spa filiale di Roma, banca controllata dal Piccolo credito Valtellinese.

L’altra inchiesta

Quello della procura di Roma è il primo sequestro di soldi destinati a conti Ior. Ed è anche la prima volta che sono coinvolti (Marcinkus a parte) i vertici dell’istituto di credito. E qui sta la novità rivoluzionaria dell’indagine che, va precisato, non riguarda direttamente i conti dello Ior ma i trasferimenti di danaro che coinvolgono conti Ior accesi presso banche italiane. Ora, poichè quasi tutti i versamenti su conti Ior, dove i clienti non hanno un nome ma un codice, avvengono per lo più da conti italiani, si capisce perché sono molti oggi a tremare.

Ma non si tratta della prima inchiesta. I pm Rossi e Fava un anno fa hanno già avviato un’indagine per violazioni delle norme di anticiclaggio. Nel fascicolo sono finiti i rapporti tra lo Ior e l’ex filiale Banca di Roma, ora Unicredit, di via della Conciliazione a due passi dal Vaticano e un’altra decina di istituti di credito. Sotto indagine più conti correnti su cui negli ultimi tre anni sono transitati circa 60 milioni di euro l’anno. Conti-calderone, conti schermati, dove arrivavano e da cui ripartivano bonifici senza nome. Destinazione Ior, Stato del Vaticano.

22 settembre 2010

 

 

 

 

 

il SOLE 24 ORE

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2010-09-23

Cercasi leader e governance

di Orazio CarabiniCronologia articolo23 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 23 settembre 2010 alle ore 09:20.

L'ultima modifica è del 23 settembre 2010 alle ore 09:13.

La coalizione dei volonterosi azionisti di UniCredit che ha messo alla porta Alessandro Profumo doveva avere degli ottimi motivi. Al presidente Dieter Rampl, leader dell'inedita alleanza tedesco-padana, era stato autorevolmente raccomandato che delle due l'una: o all'amministratore delegato Profumo veniva rinnovata la più totale fiducia dal consiglio di amministrazione dopo gli screzi dei giorni precedenti oppure le sue dimissioni dovevano essere accompagnate dalla contestuale scelta del successore.

 

E invece Rampl è andato avanti perché con Profumo "c'erano punti di vista diversi sulla corporate governance". Le deleghe di gestione sono state affidate al presidente e l'incertezza sul futuro della più importante banca italiana è totale, come dimostra la reazione della Borsa.

Comunque Profumo non è più il capo di UniCredit, il colosso bancario europeo che ha di fatto creato. E senza Profumo è destinato a cambiare l'assetto di potere della finanza italiana.

Certo, tutto dipende dalla persona che gli azionisti di UniCredit metteranno al suo posto. Può darsi che spunti un eccellente manager bancario, in grado di migliorare la performance del gruppo e di portare ai soci risultati in linea con le aspettative.

Meno deludenti, cioè, di quelli realizzati dal Profumo dell'epoca imperiale, successiva all'acquisizione della tedesca Hvb e della romana Capitalia. Investimenti che si sono rivelati assai cari soprattutto se valutati con i parametri post-crisi. È peraltro probabile che nel sistema bancario italiano aumenti l'omologazione. Profumo è stato per lungo tempo quello che sapeva dire di no quando arrivavano "certe" richieste. Non si è commosso per Telecom, per Alitalia o per Rcs. Forse aveva torto (ma più probabilmente no). Fatto sta che ha detto: "Non è nell'interesse della banca". E si è assunto le sue responsabilità.

E adesso? Come sarà l'Unicredit del dopo-Profumo? Avrà un amministratore delegato con una proiezione internazionale in grado di consolidare lo sviluppo di un gigante presente in 22 paesi? O sarà un gagliardo e rampante manager "attento al territorio" e sensibile ai richiami della politica? Sarà un esterno o un interno? E se il prescelto verrà da fuori come la prenderanno quelli che in questi anni hanno affiancato Profumo? La scelta non sarà semplice e dovrà avvenire in tempi rapidi perché la Banca d'Italia, preoccupata della stabilità di Unicredit e dell'intero sistema, l'ha giustamente sollecitata. Gestire un gruppo tanto complesso e cresciuto così velocemente richiede qualità non ordinarie. I ripetuti cambiamenti del modello organizzativo sono lì a dimostrarlo. E poi la vicenda Profumo pone il problema della governance della banca. Per vari motivi. Intanto le modalità delle dimissioni-licenziamento sono state gestite in modo "poco elegante": cacciare l'amministratore delegato senza avere un successore da annunciare non è prassi a livello di una società quotata di quella importanza.

L'uscita di Profumo segna anche la fine ufficiale dell'autoreferenzialità (per dirla con gli azionisti) o dell'autonomia (per dirla con Profumo) del management. E allora in futuro nelle scelte che contano peserà di più il nuovo amministratore delegato o Rampl, con il vicepresidente Fabrizio Palenzona e magari, da più lontano, Paolo Biasi, presidente della fondazione di Verona?

 

Infine c'è da chiedersi se e a quali condizioni reggerà l'asse tedesco-padano. Ieri tra i politici di entrambi gli schieramenti era diffuso il timore che i tedeschi puntino a prendere il controllo di Unicredit, approfittando dell'attuale sbandamento. Ma non è chiaro con quali forze dato che Allianz è l'unico socio tedesco con una quota superiore al 2% del capitale. Piuttosto è curioso che tra i 23 consiglieri di amministrazione di Unicredit ben sei siano tedeschi o austriaci, oltre a Enrico Cucchiani che rappresenta Allianz. Fa quasi un terzo del board, compresa la posizione di presidente: niente male come eredità dell'accordo per l'acquisizione di Hvb.

Profumo, come Sergio Marchionne e pochissimi altri, era l'immagine dei manager italiani a livello internazionale. La sua forza nasceva anche da lì. C'è da augurarsi che il suo successore riesca ad affermarsi come lui.

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2010-09-22

IL VERTICE UNICREDIT Rampl il mandato di cercare l'ad, ecco chi guida UniCredit in attesa del successore di Profumo

Le dimissioni di Profumo, i 40 milioni di buonuscita, i dubbi di Tremonti e una delicata transizione

a cura di Vittorio Carlini e Andrea FranceschiCronologia articolo22 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2010 alle ore 11:01.

All'1.15 della mattina del 22 settembre si è conclusa ufficialmente l'era di Alessandro Profumo in UniCredit. A notte fonda è arrivato il tanto atteso comunicato della banca: "Il Cda e Alessandro Profumo - si legge nel testo- hanno, a seguito dell'orientamento maturato dal consiglio, concordato che, dopo 15 anni, è giunto il momento di un cambiamento al vertice del gruppo. Alessandro Profumo ha quindi rassegnato le dimissioni da amministratore delegato, che il Cda ha accettato, ringraziandolo per gli ottimi risultati raggiunti in questi anni". ...

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ieri ha telefonato ai presidenti delle varie Fondazioni bancarie legate a Unicredit e si è detto contrario a "cambi maldestrial vertice": Un'operazione gestita male che - avrebbe detto ai suoi più stretti collaboratori - "rischia di rivelarsi un salto nel buio proprio nel momento in cui la stabilità è un bene essenziale". Per oggi pomeriggio è stato convocato a Roma il Comitato per la stabilità finanziaria, l'organismo nel quale siedono oltre a Tremonti, il governatore di Bankitalia Mario Draghi, i presidenti di Isvap e Consob, ufficialmente per parlare della situazione dei debiti sovrani. Di sicuro il tema che terrà banco sarà la vicenda Unicredit.

Il Cda ha sottolineato che, sotto la guida del manager, l'istituto "si è trasformato da banca puramente domestica in uno dei principali Gruppi Europei. La capitalizzazione di mercato è cresciuta in questo periodo da euro 1,5 Miliardi a circa euro 37 Miliardi. Anche durante la crisi finanziaria globale, UniCredit ha realizzato utili in ogni trimestre. Con questi risultati e attraverso i progetti in corso quali One4C sono state preparate le condizioni per un futuro di successo sostenibile per il Gruppo".

Riguardo al prossimo futuro, al presidente Dieter Rampl è stato dato "il mandato (..) di identificare e proporre il successore di Profumo nelle prossime settimane" . Di più:"Fino alla nomina di un nuovo amministratore delegato, il Cda - prosegue il comunicato - ha trasferito in via temporanea le deleghe esecutive al presidente Dieter Rampl, che, supportato dai deputy Ceos guiderà il Gruppo".

La giornata più lunga

La notizia dell'uscita di scena di Alessandro il "Grande" da Unicredit era stata già confermata, in serata, dalla moglie Sabina Ratti. "Ci tengo a dirvi che una parte sarà data in beneficenza a Don Colmegna" ha sottolineato la moglie del banchiere. Interrogata sull'entità della cifra globale che andrà all'ormai ex a.d. del gruppo Unicredit, la moglie di Profumo ha detto: "È la cifra che abbiamo letto nelle indiscrezioni (40 milioni), a Don Colmegna andranno due milioni"... L'amministratore delegato di UniCredit è stato sfiduciato dal consiglio d'amministrazione, riunitosi ieri in seduta straordinaria. Nel corso del board, l'operato dell'amministratore delegato uscente sarebbe stato difeso da alcuni consiglieri tra cui il vicepresidente Farhat Bengdara, Governatore della banca centrale della Libia, che ha una quota del 4,988% di UniCredit e da Salvatore Ligresti. Quest'ultimo a margine del patto di sindacato di Mediobanca aveva dichiarato di essere "favorevole alla stabilità" di Piazza Cordusio. Anche la consigliera indipendente Lucrezia Reichlin avrebbe votato a favore di Profumo.

Il cda di Unicredit è terminato dopo circa quattro ore di riunione. Nessuna dichiarazione sull'esito dell'incontro. Visti in uscita dalla sede, tra gli altri, Carlo Pesenti, Lucrezia Reichlin, Antonio Maria Marrocco e Marianna Li Calzi.

Il consiglio di Unicredit, secondo l'Ansa, ha deliberato di dare mandato al presidente Dieter Rampl di offrire ad Alessandro Profumo la risoluzione consensuale del rapporto a precise condizioni con le dimissioni contestuali, confermate. Quanto alle deleghe operative, verrebbero attribuite ai deputy-ceo Roberto Nicastro, Paolo Fiorentino, Sergio Ermotti e Federico Ghizzoni.

La notizia è arrivata al termine di una giornata convulsa in cui le voci e le smentite si sono susseguite fino al colpo di scena delle ultime ore. Fino all'inizio del cda straordinario della banca infatti, sembrava che Alessandro Profumo avesse lasciato l'incarico con una lettera. Alla notizia, uscita nel primo pomeriggio era seguita una smentita ufficiale interpretata come un segno di rispetto formale delle procedure. Il fatto che Alessandro Profumo avesse lasciato la sede di Piazza Cordusio prima dell'inizio del cda era stato interpretato dalle agenzie come il segnale che l'ad avesse già preso la decisione di lasciare. Il ceo non era stato visto neppure all'inizio del cda. In serata però è emerso che l'ad non aveva presentato alcuna lettera di dimissioni. Sul suo nome infatti si sono scontrati aspramente i membri del board.

Profumo non era presente alla discussione ma in riunione con i legali dello studio Bonelli Erede Pappalardo. Lo studio che assiste Profumo nella trattativa per l'uscita dal gruppo. La moglie Sabina Ratti ha raggiunto Profumo in sella ad una Ducati rossa poco dopo che il manager era arrivato nella sede dell'incontro. Si prevede che la riunione prosegua nella notte in attesa degli esiti della riunione straordinaria del consiglio di amministrazione della banca.

La buonuscita di 40 milioni di euro mette l'ex amministratore delegato di Unicredit al top nella classifica per le liquidazioni più ricche a banchieri e manager italiani. Sinora, se dovessero venire confermate le prime cifre filtrate, era stata Capitalia l'azienda italiana che ha distribuito le più consistenti buonuscite degli ultimi anni ai propri manager. Spetta infatti all'ex amministratore delegato dell'istituto di credito romano, Matteo Arpe (30 milioni di euro), e al suo ex presidente, Cesare Geronzi (20 milioni di euro), il primato degli incassi da liquidazione. Sempre in Italia, particolarmente ricca è stata anche la buonuscita di Roberto Colaninno, quando se ne andò dall'Olivetti: all'ex amministratore delegato nel 2001 furono versati 17 milioni di euro (la cifra è tuttavia comprensiva dei compensi per l'attività di chief executive officer di Olivetti-Telecom fino al momento dell'entrata del gruppo Pirelli). Consistente anche la liquidazione di Davide Croff, ex amministratore delegato di Bnl che alla sua uscita dalla banca di Via Veneto prese un bonus di 15,2 milioni di euro. Per Gaetano Mele, invece, l'addio a Rcs ha comportato una buonuscita di 9,6 milioni di euro, mentre a Enrico Bondi dimessosi dalla carica di amministratore delegato di Montedison furono versati 9,2 milioni di euro. Ancora in lire furono invece le liquidazioni da Fiat di Paolo Fresco e Cesare Romiti i quali percepirono, rispettivamente, 11 miliardi e un centinaio di miliardi di lire. All'estero, invece, liquidazione da record è stata quella di Wendelin Wiedeking, dimissionario dalla presidenza del consiglio di amministrazione di Porsche, che a luglio scorso è ammontata a 50 milioni di euro. All'ex numero uno di Gm Richard Wagoner, invece, uscito dal colosso automobilistico nel 2009 è andata una liquidazione di 20 milioni di dollari.

Il "pomo della discordia", che ha fatto esplodere i conflitti interni sulla figura dell'ad della prima banca (per capitalizzazione) italiana, è l'ascesa nel capitale di Unicredit dei soci libici. A più riprese durante l'estate Tripoli ha comprato azioni sia con Central Bank of Libya che con il fondo sovrano Libyan Investment Authority, detenendo fino al 7,58% complessivo. Ecco la cronaca del giorno più lungo del numero uno di Piazza Cordusio.

LA CRONACA DELLA GIORNATA ORA PER ORA

00.41 È "molto positivo" il giudizio di Federico Ghizzoni, uno dei 4 vice amministratori delegati di UniCredit, sull'operato di Profumo, nel giorno dell'addio dell'Ad. Uscendo dalla sede della banca, Ghizzoni si è detto "umanamente dispiaciuto" per l'uscita di Profumo e ha ammesso che gli mancherà: "dopo tanti anni di lavoro insieme è naturale"

00.31 "È la fine di un'era ma Unicredit va avanti grazie al lavoro di tutti e soprattutto di Alessadrno". Lo ha affermato il vice Ceo di Unicredit, Paolo Fiorentino, lasciando la sede della banca dove si trovano ancora l'ex a.d Alessandro Profumo e il presidente Dieter Rampl

23.36 L'ex amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, è tornato nella sede della banca in Piazza Cordusio. Il banchiere, a bordo di un'utilitaria, sedeva accanto al guidatore, parlando al telefono. Sul volto i segni della stanchezza al termine di una lunga giornata.

23.31 "Siamo serenissimi" anche se siamo stati sottoposti a "un notevole stress". Così la moglie di Alessandro Profumo, Sabina Ratti, descrive l'epilogo dell'esperienza del marito alla guida di Unicredit. "Comunque - ha aggiunto la Ratti lasciando lo studio legale Erede Bonelli Pappalardo - non è la fine del mondo. Non c'è mica solo Unicredit".

"Non fatemi dire altro", ha poi aggiunto.

22.38 Il consiglio di Unicredit ha deliberato all'unanimità col solo voto contrario della consigliera Reichlin di dare mandato al presidente Dieter Rampl di offrire ad Alessandro Profumo la risoluzione consensuale del rapporto a precise condizioni con le dimissioni contestuali entro la mezzanotte di oggi. Se non le accetterà il Cda ha già deliberato la revoca delle deleghe attribuendole al presidente e risolvendo il rapporto con l'a.d. Lo apprende l'ANSA.

22.35 Terminato il cda di Unicredit dopo circa quattro ore di riunione. Nessuna dichiarazione sull'esito dell'incontro. Visti in uscita dalla sede, tra gli altri, Carlo Pesenti, Lucrezia Reichlin, Antonio Maria Marrocco e Marianna Li Calzi.

21.45 Il consigliere Salvatore Ligresti ha lasciato la sede del cda di Unicredit che, secondo quanto risulta a Radiocor, é alle battute finali.

21.21 "Ritengo che si troverà una soluzione condivisa per UniCredit che passerà per l'uscita di Profumo". È la previsione di Giovanni Puglisi, presidente della Fondazione Banco di Sicilia, uno dei soci di Piazza Cordusio, mentre è in corso il Cda per valutare le dimissioni dell'amministratore delegato. "Sangue non ne scorrerà" assicura Puglisi all'ANSA.

21.15 Il governatore della Banca Centrale libica e vicepresidente di UniCredit, Farhrat Omar Bengdara, è uno dei primi consiglieri a lasciare la banca di piazza Cordusio, dove è in corso un consiglio di amministrazione straordinario sui vertici. È uscito in auto e non ha rilasciato alcuna dichiarazione.

20.44 Scontro all'interno del Cda di Unicredit sulle dimissioni dell'amministratore delegato Alessandro Profumo. All'interno del cda, riferisce una fonte qualificata all'ANSA, ci sono consiglieri che si oppongono all'addio del banchiere. I toni, a quanto si apprende, sarebbero molto accesi

Ore 20.10. Prende corpo la tesi secondo cui le dimissioni del ceo di UniCredit non sarebbero state presentate e il futuro della guida della banca sarebbe ancora in bilico.

Ore 18.26. Prende il via la riunione straordinaria del consiglio di amministrazione di UniCredit con all'ordine del giorno le determinazioni inerenti l'amministrazione e la direzione della banca e i rapporti con il top management. Alessandro Profumo, che aveva lasciato la sede della banca verso le 15, non è stato visto rientrare. Visti all'ingresso in piazza Cordusio il presidente Dieter Rampl, i vice presidenti Luigi Castelletti, Fabrizio Palenzona, Vincenzo Calandra Buonaura e Farhat Omar Bengdara, i consiglieri Franz Zwickl, Francesco Giacomin, Donato Fontanesi, Marianna Li Calzi, Lucrezia Reichlin e Salvatore Ligresti.

Ore 17.30. Il titolo UniCredit chiude la giornata a Piazza Affari con un ribasso del 2,11% una giornata contrastata.

Ore 17.00 "Mi pare che quanto è successo abbia un significato evidente". Commenta con queste parole Dino De Poli, presidente della Fondazione Cassamarca, azionista dell'istituto di Piazza Cordusio, le dimissioni dell'ad di UniCredit, De Poli era stato tra coloro che in questi mesi avevano ripetutamente segnalato il "disagio" delle Fondazioni per la scarsa considerazione che questi soci, a loro dire, avevano da Profumo. "Adesso - aggiunge il patron di Cassamarca - si nominerà un nuovo amministratore delegato e ognuno farà la

propria parte".

Ore 16.45. È arrivato nella sede di Unicredit Farhat Omar Bengdara, Governatore della Banca centrale Libica azionista con il 4,98 per cento dell'istituto. È la prima volta che Bengdara, vice presidente di Piazza Cordusio, viene visto varcare la sede della banca per un consiglio di amministrazione.

Ore 16.45.Tarak Ben Ammar ha detto "di non credere" che i libici possano irritarsi per la vicenda di Alessandro Profumo. A chi gli chiedeva quale possa essere l'atteggiamento di un qualsiasi investitore di Unicredit davanti a tutto questo rumore, uscendo dalla sede di Mediobanca, ha risposto: "non si preoccupa".

Ore 16.25. L'Ansa dà la notizia che l'amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo lascia l'incarico. È quanto indicherebbe il banchiere in una lettera al Cda.

Ore 15.35. Voci di accordo per le dimissioni dell'a.d. di Unicredit, Alessandro Profumo. L'intesa, secondo quanto risulta a Radiocor, non è ancora stata firmata dal manager ma l'accordo sarebbe stato ormai raggiunto. La banca smentisce che Profumo si sia già dimesso in vista del cda straordinario delle 18.

Ore 15.27. Profumo lascia sede Piazza Cordusio, nessuna dichiarazione.

Ore 15.00. UniCredit smentisce ufficialmente al momento le dimissioni dell'amministratore delegato Alessandro Profumo. Lo riferiscono fonti della banca dopo le voci circolate a riguardo e ricordano che qualsiasi decisione dovrà essere ratificata dal cda.

Ore 14.43. C'è l'accordo per le dimissioni dell'ad di UniCredit, Alessandro Profumo. L'intesa, secondo quanto risulta a Radiocor, non é ancora stata firmata dal manager ma l'accordo é stato ormai raggiunto.

Ore 14.30. Salvatore Ligresti è "favorevole alla stabilità" in UniCredit. Così il patron di Premafin, socio e consigliere di UniCredit, ha risposto a chi chiedeva di commentare l'eventualità che Alessandro Profumo si dimetta da amministratore delegato di Unicredit.

Ore 14.00 Il titolo di UniCredit, nel momento in cui si sono divulgate le voci di possibili dimissioni di UniCredit prima del Boar, ha virato decisamente verso il basso.

Ore 14.00. Sono ore febbrili ai piani alti di UniCredit. In corso fin dal mattino, secondo fonti ben informate, si susseguono gli incontri tra avvocati delle parti per definire l'uscita dell'amministratore delegato, Alessandro Profumo, prima del cda straordinario, in programma alle 18.00.

Ore 13.55. Dalle ultime indiscrezioni (fonte Reuters) Rampl riceverà un mandato di tre settimane per trovare un ad esterno, in sostituzione di Profumo.

Ore 13.44. Secondo quanto ha appreso l'Apcom, Alessandro Profumo, al termine di una mattinata di riunioni in piazza Cordusio, andrà verso le dimissioni senza passare per una "conta" nel consiglio di amministrazione previsto per il tardo pomeriggio. Secondo altre fonti, invece, Profumo sarebbe pronto a dare battaglia. È il sintomo dell'incertezza della giornata.

Ore 13.13. "Tutte le relazioni tra la Libia e Unicredit sono gestite dalla banca centrale libica". Lo ha precisato il numero uno del fondo sovrano Lybian Investment Authority, Mohammed Layas. Sia la banca centrale che il fondo sovrano libico detengono quote nell'istituto italiano.

Ore 12.58. Secondo quanto risulta a Radiocor l'accordo per evitare lo scontro in consiglio di amministrazione di UniCredit é in arrivo. La mattinata di riunioni e incontri sta dando buoni frutti e ora sono coinvolti anche avvocati di studi ben conosciuti.

Ore 12.13. La Consob monitora il titolo UniCredit in Borsa minuto per minuto e ha esteso l'analisi anche all'operatività delle sedute passate per valutare eventuali movimenti speculativi, alla luce di quanto emerso ieri e nel fine settimana sullo scontro al vertice del gruppo. L'autorità di controllo sul mercato è in contatto sia con la banca di Piazza Cordusio sia con Borsa Italiana, cui spetta la decisione di un'eventuale sospensione delle azioni in Borsa. Tuttavia uno stop - viene fatto notare - non avrebbe senso oggi perchè l'incertezza sul destino dell'amministratore delegato Alessandro Profumo crea paradossalmente una situazione di parità informativa.

Ore 11.52. Dieter Rampl, il presidente di UniCredit, non é presente al cda di Mediobanca, di cui é vice presidente. In una giornata cruciale per la governance di UniCredit, Rampl non ha lasciato la sede dell'istituto di Piazza Cordusio dove é giunto di prima mattina e non é quindi fra i consiglieri presenti in Piazzetta Cuccia, dove il board é in riunione per esaminare i conti annuali.

Ore 11.19. Il sindaco di Verona, Flavio Tosi, intervistato da Radio24 sottolinea che Profumo si è comportato come un custode infedele. "Se ti trovi dalla sera alla mattina qualcuno in casa e nessuno ti ha avvisato e qualcuno lo sapeva è come se tu avessi il custode di casa tua che ti fa entrare uno senza avvisarti: più o meno quello che è successo in UniCredit". Tosi ha poi aggiunto ai microfoni di Radio24. "Fermare i libici al 5%. Quello che avevamo evidenziato come problema territoriale è anche un problema bancario e finanziario. Mi occupo di politica e non faccio il banchiere ma far entrare dei soci come Gheddafi ed i libici vuol dire far entrare dei soci che potrebbero non fare gli interessi di Verona e del Veneto".

Ore 10.58. Il titolo riduce ancora le perdite e cede lo 0,88 per cento. Sostenuti anche i volumi: ad ora sono stati scambiati oltre 193 milioni di pezzi pari all'1% del capitale a fronte di una media giornaliera dell'ultimo mese di 280.660 milioni.

Ore 10.48. A Piazza Affari il titolo continua a perdere ma recupera rispetto al ribasso di apertura. Cede l'1,44% a 1,92 euro. "Se Alessandro Profumo decidesse di rassegnare le dimissioni - sottolinea in un daily report Banca Leonardo - ci aspettiamo un periodo di vuoto nella leadership, una lotta interna per la riassegnazione del potere e incertezza strategica con il rischio di più influenze politiche nelle decisioni di business". Equita Sim invece ha tagliato a "hold" il suo giudizio, e Goldman Sachs, che mantiene il consiglio "buy", ha però tolto il titolo dalla sua lista "convinction buy".

Ore 9.20. "Pesante regressione del mercato finanziario italiano a una decina di anni fa. È in gioco l'indipendenza del sistema bancario dalla politica e comunque l'indipendenza di fare banca da logiche che nulla hanno a che fare con l'esercizio dell'attività finanziaria. Questo é in gioco con il rischio delle dimissioni Profumo". Matteo Colaninno, deputato del Pd, prende le difese dell'ad di UniCredit nel corso della trasmissione Nove in punto di Oscar Giannino su Radio 24. "Le Fondazioni facciano i lori interessi e quelli del territorio, ma la governance di una banca deve presidiare l'indipendenza di una banca". Sull'uscita di Profumo dall'istituto aggiunge: "L'alternativa a questo punto non é solo quella di perdere uno dei migliori manager italiani, ma é quella di far tornare indietro agli anni ante novanta il sistema bancario italiano dove c'era la politica che entrava nelle banche, con il risultato che le banche non avevano né la stessa attrattività rispetto agli investitori che hanno oggi, né la stessa redditività. A me interessa che non ci sia il politico di turno che dica a un amministratore delegato a chi dare gli affidamenti".

9.10. Visti entrare nella sede di piazza Cordusio anche il vicepresidente vicario Luigi Castelletti, espressione della Fondazione Cariverona e il vicepresidente Vincenzo Calandra Bonaura che rappresenta i bolognesi di Carimonte. Tra i consiglieri tedeschi é già arrivato a Milano Franz Zwickl.

Ore 9.05. Il titolo Unicredit apre in Borsa con un calo del 3,8 per cento.

Ore 8.56. Alessandro Profumo fa il suo ingresso nela sede di Piazza Cordusio. Il manager ha evitato l'incontro con i giornalisti scendendo dalla macchina e infilandosi rapidamente in un ingresso diverso da quello principale dove tutti lo aspettavano. In Piazza Cordusio hanno fatto il loro ingresso anche i vice ad Roberto Nicastro e Sergio Ermotti e Vincenzo Calandra Buonaura, uno dei quattro vice presidenti.

Ore 8.30. Dieter Rampl, arriva in Piazza Cordusio. Ai giornalisti che gli hanno chiesto se fosse già pronto il nome per la sostituzione dell'amministratore delegato Alessandro Profumo ha fatto segno di non voler commentare. Subito dopo Rampl è arrivato anche il vice ceo, Paolo Fiorentino.

Ore 7.20. L'amministratore delegato di UniCredit, Alessandro Profumo, rassegnerà le dimissioni dopo il consiglio di amministrazione straordinario dell'istituto. Lo scrive il quotidiano tedesco Financial Times Deutschland, che cita fonti bene informate.

Il giornale ritiene inoltre "probabile" che il cda non nominerà un sostituto di Profumo, ma che la poltrona verrà affidata ad interim al presidente di UniCredit, Dieter Rampl.

Anche secondo il quotidiano Handelsblatt, Profumo rassegnerà le dimissioni oggi

Ore 7.05. Il successore di Alessandro Profumo dovrebbe essere scelto prima di Natale, nel frattempo Dieter Rampl dovrebbe assumere il doppio ruolo di presidente e amministratore delegato. Questo lo scenario prospettato dal Financial Times in un lungo articolo dedicato alla "principale banca italiana per patrimonio".

Ore 7.00. Secondo fonti libiche il presidente di UniCredit, Dieter Rampl sapeva dell'operazione con cui il fondo libico Lia (Lybian investment authority) ha aumentato la sua partecipazione al 2,594% lo scorso 31 agosto. La notizia è stata ufficializzata lunedì dalla Consob, tra le comunicazioni relative alle partecipazioni rilevanti. Con l'incremento della partecipazione della Lia, la quota di UniCredit in portafoglio agli investitori di Tripoli sale complessivamente al 7,58%. Rampl dice di non aver ricevuto comunicazioni sull'operazione.

Il timore dei gestori è l'abbraccio della politica (di Vittorio Carlini)

L'andamento del titolo UniCredit

L'azionariato di UniCredit

I grandi soci puntano alle dimissioni di Profumo

 

 

 

I tanti dubbi di Tremonti

di Isabella BufacchiCronologia articolo22 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 22 settembre 2010 alle ore 10:07.

Un'operazione gestita male, che rischia di rivelarsi "un salto nel buio" proprio in un momento in cui la stabilità è un bene essenziale. Al ministro dell'Economia Giulio Tremonti non è piaciuta l'accelerazione che ha portato alla rimozione di Alessandro Profumo, amministratore delegato della prima banca italiana, considerata il fiore all'occhiello del sistema bancario italiano sulla scena internazionale. "Se decidi di cambiare l'ad lo puoi fare, è nelle prerogative degli azionisti, ma lo devi fare in maniera appropriata, nella giusta misura, preparando la successione", avrebbe detto il ministro ieri ai suoi più stretti collaboratori.

Preoccupazione anche per il ruolo che in futuro potranno avere i soci tedeschi, nel momento in cui viene meno il riferimento di un manager italiano forte come Profumo. Certo, ci sono le fondazioni e con le fondazioni quella Lega Nord "amica" di Tremonti. Ma anche nella Lega non tutti erano a favore di una violenta accelerazione e al vertice del partito c'era chi era per una linea più attendista.

"Fare fuori" un amministratore delegato del peso di Profumo, in maniera così traumatica, ha lasciato Tremonti più che perplesso per gli effetti destabilizzanti e addirittura sistemici che l'operazione potrebbe provocare. Il ministro non si stanca di ripetere che l'Europa, e quindi anche l'Italia, si trova ancora in "terra incognita": questo significa che la crisi non è alle spalle, che non si può abbassare la guardia. L'Italia ha retto meglio di molti altri paesi, è la tesi del ministro, che riconosce pubblicamente, come uno dei punti di forza del sistema, la solidità del sistema bancario: ma c'è ancora molto da lavorare, sta insistendo Tremonti, per rilanciare lo sviluppo e la competitività del paese, per garantire il flusso del credito alle Pmi e incoraggiarle verso la crescita dimensionale. In questa fase ancora molto delicata per l'economia, un terremoto ai vertici del sistema bancario andava evitato: togliere di mezzo Profumo con un taglio netto, lasciando la poltrona di ad vacante, è stato un modo "maldestro" di procedere.

Tremonti non nascondeva ieri un'altra preoccupazione: quella del passaggio delle deleghe di Profumo al presidente Dieter Rampl. Forse ad interim, ma fino a quando? Il peso crescente dei tedeschi ai vertici della prima banca italiana potrebbe essere visto sui mercati come una crepa dell'apparato bancario. Per il ministro, invece, per contrastare la crisi bisogna fare quadrato, stringere i ranghi, fare sistema. All'assemblea dell'Abi del 2009 Tremonti aveva annunciato alle banche "un nuovo inizio, abbiamo una responsabilità comune per il paese": e da questo annuncio erano seguiti i fatti. L'offerta dei Tremonti-bond per sostenere la ricapitalizzazione degli istituti patrimonialmente più deboli è stata valutata a lungo, anche se poi rifiutata da Profumo: questo all'epoca provocò qualche frizione tra i due ma lo strascico delle polemiche fu temporaneo. Tremonti si è messo a lavorare fianco a fianco con tutte le grandi banche per studiare soluzioni nuove al fine di assicurare l'erogazione del credito a costi accessibili a un sistema industriale provato dalla crisi: l'appuntamento è diventato fisso, i lunedì a Milano il ministro incontra i vertici delle grandi banche. Il feeling tra Tremonti e Profumo si è rafforzato con il passare del tempo: Unicredit partecipa alla creazione del primo fondo pubblico-privato di private equity mirato alla ricapitalizzazione e aggregazione delle Pim, con la sua "enorme leva finanziaria". Unicredit è stata la prima tra le grandi banche ad aggiudicarsi una grossa fetta degli 8 miliardi messi a disposizione dalla Cassa depositi e prestiti, a tassi competitivi, per sostenere l'internazionalizzazione delle Pim. E non da ultimo, Profumo ha dato l'ok alla cessione del Mediocredito centrale (con licenza bancaria piena) a Poste e Iccrea per velocizzare il lancio della Banca del Mezzogiorno, un progetto al quale Tremonti tiene particolarmente

 

 

 

A Rampl il mandato di cercare l'ad, ecco chi guida UniCredit in attesa del successore di Profumo

Cronologia articolo21 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2010 alle ore 17:38.

La giornata più lunga di Alessandro Profumo è stata lunga e intesa anche per loro: Dieter Rampl, Luigi Castelletti, Vincenzo Calandra Buonaura e Fabrizio Palenzona, che siedono nel board dell'istituto di Piazza Cordusio con la carica rispettivamente di presidente e vice-presidenti di UniCredit. Secondo il comunicato ufficiale della banca, le deleghe esecutive saranno temporaneamente affidate al presidente Rampl, che guiderà la banca supportato dai quattro vice ceo: Sergio Ermotti, Paolo Fiorentino, Federico Ghizzoni e Roberto Nicastro.

Dieter Rampl

Il banchiere tedesco di 63 anni che iniziò la sua carriera nel 1969 alla Societe de Banque Suisse a Ginevra, per poi passare a Vereinsbank nel 1971. La finanza applicata al commercio internazionale fu la sua prima occupazione, prima di passare sette anni nel Nord America Corporation and Credit Department della banca e sette anni a New York.

Dopo una stagione di ben dodici anni in BHF-Bank, Rampl tornò in Vereinsbank nel 1995 come membro del board dei direttori generali, ruolo che ha ricoperto anche dopo la nascita di Bayerische Hypo-und Vereinsbank. Grazie alla sua abilità nel ristrutturare le divisioni interne alle aziende bancarie si è via via costruito una fama di riconosciuta professionalità. Proprio queste capacità gli furono indispensabili in HVB, che allora non se la passava affatto bene, e lo portarono a ricoprire dal 2003 la doppia carica di direttore generale e ceo dal 2003: "l'anno più difficile e peggiore nella storia della banca", disse Rampl a Bbc News. Vendendo molti asset della banca, in particolare nel settore immobiliare, e ristrutturando alcune divisioni, Rampl riuscì a riportare la banca in profitto, anche se a caro prezzo in termini di dismissioni.

Dopo la fusione in UniCredit di HVB, Rampl è diventato presidente in rappresentanza della parte tedesca della nuova grande banca. E dalla parte tedesca, negli ultimi tempi, ci sono stati segnali di insofferenza per il ruolo dei soci libici nella banca. Lo raccontano come freddo, calmo e ottimista per natura. Rampl, tifoso del Bayern, e Profumo, interista, avevano assistito assieme all'ultima finale di Champions League a Madrid, vinta dall'Inter. Ora, secondo la nota ufficiale diramata nella notte, ha ricevuto il mandato di cercare il successore di Profumo nelle prossime settimane. Luigi Castelletti

Luigi Castelletti (nella foto), 55 anni, è dal 2007 vice presidente vicario di UniCredit ed è espressione della Fondazione Cariverona nel cda della banca di Piazza Cordusio. La Fondazione detiene una quota del 4,98% nell'azionariato di UniCredit. Avvocato, iscritto all'albo dal 9 giugno 1983, Castelletti ha svolto attività continuativa nell'ambito del diritto civile con specializzazione nel diritto societario e nel diritto fallimentare. Ha svolto anche incarichi di curatore, commissario giudiziale, liquidatore in procedure concorsuali, legale per la difesa attiva nell'interesse di procedure di fallimento e/o di concordato, con nomina diretta dei Giudici della Sezione Fallimenti del Tribunale. Tra le altre cariche è membro del consiglio di amministrazione dell'Abi – Associazione Bancaria Italiana.

Vincenzo Calandra Buonaura

È vicepresidente di UniCredit, come Fabrizio Palenzona e Farhat Omar Bengdara. Attualmente ricopre anche la carica di membro del consiglio di amministrazione di Credito Emiliano e del consiglio di amministrazione dell'Abi , l'Associazione bancaria italiana. Avvocato libero professionista ha ricoperti numerosi incarichi universitari. Tra il 1973 e il 1986 è stato titolare dell'insegnamento di Legislazione bancaria presso la Facoltà di Economia dell'Università di Modena. Successivamente, e fino al 2008, è stato professore ordinario di Diritto commerciale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Dal 1° novembre 2008 è professore ordinario di Diritto Commerciale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università "Alma Mater" di Bologna. Ricco anche il curriculum bancario. Dal 2003 al 2006 è stato membro del consiglio di amministrazione di UniCredit Banca e UniCredit Private Banking. Dal 2007 al 2008 è stato membro del supervisory board di UniCredit Bank Austria Ag. Dal 2000 al 2009 è stato presidente di Carimonte Holding.

Fabrizio Palenzona

È vicepresidente di UniCredit, come Vincenzo Carlo Buonaura e Farhat Omar Bengdar. Ligure di 57 anni attualmente è anche membro del consiglio di amministrazione di Mediobanca, presidente di Gemina, dell'Associazione Italiana Gestori Aeroporti, Adr, Aviva, Faiservice Scarl, Aiscat (Associazione Italiana Gestori Aeroporti), Conftrasporto, Fondazione Sla. È anche membro del consiglio di amministrazione dell'Abi, l'Associazione bancaria italiana, della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria e del Comitato Esecutivo della Giunta degli Industriali di Roma.

Farhat Omar Bengdara

Nato a Benghazi (Libia), il 27 settembre 1965, Farhat Omar Bengdara è vicepresidente di UniCredit, come Vincenzo Carlo Buonaura e Fabrizio Palenzona. Dal 2006 è governatore della banca centrale di Libia. Tra le altre cariche ricoperte è presidente del Fondo libico per l'investimento interno e lo sviluppo e dell'Arab Banking Corporation a Londra. È inoltre membro del board of trustees della Libyan investment authority, del Supreme council for Oil and gas.

Salvatore Ligresti

Nato a Paternò (Catania), il 13 marzo 1932, Salvatore Ligresti è membro del consiglio di amministrazione di UniCredit. Secondo indiscrezioni si sarebbe opposto alle dimissioni di Profumo dichiarando ai giornalisti di essere "favorevole alla stabilità" nell'istituto. Tra le altre cariche è presidente onorario di Premafin Finanziaria, Fondiaria-Sai, Milano Assicurazioni, Immobiliare Lombarda. Ha iniziato la propria attività a Milano come libero professionista nel settore immobiliare e subito dopo come imprenditore immobiliare e finanziario.

 

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